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HO BISOGNO DI ESSERE VISTA

“Lucia è nell’altalena, ha imparato a spingersi da sola e sta andando in alto. Grida alla mamma: <Guardami, mamma!>” Nessun genitore, in genere, ha bisogno di essere incoraggiato a guardare, lo facciamo tutti! La trappola in cui però cadiamo è che spesso diamo ai figli qualcosa di diverso da ciò che desiderano.

 

Trappole comuni
1)
La mamma di Lucia elogia la piccola dicendo: “Che brava! Stai andando benissimo.”
La mamma lo ha detto per amore, ma così ha collegato “l’essere” di Lucia con il risultato da lei ottenuto. In questo momento stanno parlando 2 lingue diverse. Lucia non ha mai pensato che dovesse dimostrarsi brava per divertirsi nell’altalena. Lei sta vivendo un’esperienza e quando dice “Guardami!” chiede solo che le vangano confermate la sua esistenza e la sua esperienza. Niente più.

2)
La mamma di Lucia esprime il suo amore concentrandosi su se stessa: “Fai attenzione a non cadere e a farti male!”

Quest’ansia incessante frena lo sviluppo dell’autostima nella bambina perché il messaggio che riceve è “non mi aspetto che tu che la faccia”. Questo tipo di risposta sposta l’attenzione della bambina dalla propria esperienza e la trasferisce ai sentimenti della madre.
Se la madre è spesso preoccupata la figlia diventerà schiva e ansiosa a sua volta oppure maldestra e facile agli incidenti per portarsi al livello delle aspettative negative della madre.
Lo so ci caschiamo tutti in queste 2 trappole .
Cosa possiamo fare allora per alimentare l’autostima dei nostri figli?

1)
Il più delle volte basta uno sguardo, un cenno di saluto: “Ciao Lucia!”
La madre è stata testimone dell’esperienza della figlia, Lucia sa di essere stata “vista”.

2)
Se la madre volesse dare qualcosa di più potrebbe guardare più da vicino il viso di Lucia e dire una cosa del tipo: “Lucia, sembra davvero divertente”!

Stefania Piccini

 

 

IN QUALE POSIZIONE DEVONO STARE I GENITORI?

Il posto ideale dei genitori per accompagnare i figli nella vita è dietro di loro. Non davanti, non di fianco. Dietro. Con una distanza che è proporzionale alla loro crescita.

 

Quindi, quando molto piccolo, appena il bambino ne manifesta il desiderio, va tenuto in braccio, ma rivolto verso il mondo. In seguito, quando comincia a gattonare e a camminare, dietro di lui ma vicino, per osservare, anticipare se possibile i pericoli, consolare quando cade.
Poi dietro, mentre entra a scuola e si gira per salutare, affinché ci veda chiaramente mentre lo salutiamo fiduciosi che possa stare bene anche mentre siamo lontani.
Dietro mentre lo accompagniamo per la sua strada, osservando i suoi talenti, ascoltando i suoi desideri, incitandolo, facendo il tifo per lui, abbracciandolo quando ha bisogno di conforto perché ha perso.
Dietro mentre fa i compiti, distratti quando non serviamo, attenti se richiamati, affinché sia chiaro che l’apprendimento sia un suo compito, che sosteniamo se e quando necessario, ma che non ci sostituiamo ne’ a lui ne’ ai suoi maestri.
Affinché il nostro apporto non lo confonda: non siamo lì a giudicarlo, il nostro amore non è condizionato dai suoi voti o dai suoi successi. Il nostro insegnamento principale è e rimane per sempre il modo in cui lo amiamo, a prescindere dalle sue scelte personali che lo renderanno una persona unica e speciale, probabilmente diversa da noi, dalle nostre aspettative, forse anche migliore, di noi.
Dietro per guardarlo bene, un po’ distante per comprendere come si comporta con le altre persone, anche quando siamo assenti, di cosa ha veramente bisogno, come sostenerlo, ma anche di quali limiti necessita per rafforzarlo, per permettere di sperimentarsi, sbagliare, educarlo.
Dietro perché senta la nostra presenza attenta che non prende il suo posto, ma gli dà spazio.
Non un amico, non un insegnante, non un fan. Ma sua madre e suo padre, semplicemente.
Affinché i meriti siano suoi e non nostri, la sua vita sua e non nostra, i fallimenti suoi e non nostri.
Una presenza presente tutta la vita, alla distanza corretta e adeguata all’età e ai suoi bisogni, capaci di essere sia molto vicini sia molto lontani, ma non perdendo mai di vista il compito principale che ci compete come genitori: renderlo autonomo da noi e in grado di sviluppare relazioni affettive significative di cui prendersi cura. Responsabili della costruzione della sua genitorialità, che sarà fondamentale del modo in cui si occuperà e amerà i suoi figli, se ne avrà. Fondamenta da cui trarrà ispirazione con chiunque sarà oggetto della sua cura e della cura che cercherà nelle persone che lo ameranno e che si fideranno di lui. La sua capacità di chiedere, di non essere troppo dipendente, di farsi trattare come merita, di cambiare quando non sta bene, responsabile delle scelte affettive che opererà.
Coscienti che l’esempio principale di cura siamo proprio noi, la madre e il padre che lo accompagnano nella vita. Finché siamo in vita, dietro.
Infine, se avremo svolto bene il nostro ruolo, nonostante i nostri inevitabili errori, se avremo la fortuna che si compia il naturale destino come genitori, ovvero quello che i figli ci sopravvivano, il nostro luogo ideale cambia.
Non più dietro, ma dentro, nel cuore dei nostri figli, affinché sempre, finché saranno in vita, possano ritrovarci in quella presenza presente, dietro di loro.

Maria Isabella Robbiani – Psicologa
http://www.accompagnamentoperinatale.it/

 

LA FILASTROCCA DELL'AUTOSTIMA PER I BAMBINI

Il punto di vista dei bambini.

 

Non dirmi “sciocco” oppure “somaro”,
sono parole dal gusto amaro.
Non dirmi “aspetta, ti rispondo dopo”,
se lo chiedo ora, ci sarà uno scopo.
Non chiedermi sempre e solo perché,
ne sono certo, lo sai già da te.
Se poi non mi urli tutti i santi giorni,
sarò più felice quando ritorni.
Non chiedermi cose sotto ricatto,
o imparerò il prezzo di averlo fatto,
non per amore, ma per esser costretto
e non di certo perché ci rifletto.
Se sono stanco e non capisco niente,
è perché stanca è anche la mente.
Non mi gridare se rovescio il latte,
chissà tu, da piccola, quante ne hai fatte.
Non dirmi mai che non si può fare,
tra il dire e il fare non sempre c’è il mare,
o che non posso cambiare il mondo
e ci crederò in un nanosecondo.
Se aggiungi sempre “ma”, “forse”,‘‘però”,
stai pur sicura non ce la farò.
Poi, se lo posso fare da solo,
non aiutarmi e prenderò il volo.
Mostrami invece parole belle
e te lo assicuro, toccherò le stelle…

Stefania Contardi & figli
http://sabinaeducattiva.wordpress.com/

 

LA BUONA MADRE È QUELLA CHE DIVENTA INUTILE.

“La buona madre è quella che diventa inutile col passare del tempo. È giunto il momento di reprimere l’impulso naturale materno di voler mettere il piccione sotto l’ala, protetto da tutti gli errori, tristezze e pericoli.

 

È una battaglia difficile, lo confesso. Quando comincio a indebolirmi nella lotta per controllare la super-madre che tutte abbiamo dentro, mi ricordo la frase del titolo. ” La buona madre è quella che diventa inutile…”


Se ho fatto il mio dovere di madre correttamente, devo diventare inutile. E prima che una madre mi accusi di disamore, spiego cosa significa. Essere “inutile” è non lasciare che l’amore incondizionato di madre, che esisterà sempre, provochi vizio e dipendenza nei figli, come se fosse una droga, a tal punto, che loro non siano in grado di poter essere autonomi, fiduciosi e Indipendenti. Devono essere pronti a tracciare la loro rotta, a fare le loro scelte, a superare le loro frustrazioni e a commettere i propri errori anche con ogni fase della vita, una nuova perdita è un nuovo traguardo; per entrambe le parti: madre e figlio.


L’amore è un processo di liberazione permanente, e quel legame continua a trasformarsi nel corso della vita. Fino al giorno in cui i figli diventano adulti, costituiscono la loro famiglia e ricominciano il ciclo. Quello di cui hanno bisogno è di avere la certezza che saremo con loro, fermi, nell’accordo o nella divergenza, nel trionfo o nel fallimento, pronte e presenti, l’abbraccio stretto, e il conforto nei momenti difficili. I genitori e le madri, in sostanza, allevano i loro figli affinché siano liberi e non schiavi delle nostre paure. Questa è la più grande sfida e la missione principale.


Quando impariamo ad essere “inutili”, ci trasformiamo in un porto sicuro dove possono attraccare.

A Chi Ami Dai:

– Ali per volare.
– Radici per tornare.
– Motivi per restare.


Facciamo figli indipendenti e sicuri di se stessi per vivere una vita piena e onesta”.


A. Pintus
http://www.lascuolacreattiva.altervista.org/