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GENITORI CHE MANIPOLANO I FIGLI: DIPENDENZA AFFETTIVA IN FAMIGLIA

Il legame affettivo tra genitore e figlio è l’amore primigenio, costituisce per tutti la forma primaria d’amore e si struttura come matrice delle esperienze sentimentali successive.

L’amore genitoriale e quello filiale hanno la caratteristica, unica nella vita di ogni essere umano, di realizzarsi tra individui che non si sono scelti l’un l’altro: il genitore ha (quasi sempre) deciso di concepire, e inevitabilmente ripone nel nascituro un qualche ideale e molte aspettative; il figlio o la figlia, invece, nascono e basta. Ovviamente, non hanno designato il loro oggetto d’amore e molti figli impiegheranno una vita ad accettare i propri genitori per quello che sono.

Allo stesso tempo, la capacità genitoriale che presuppone la capacità di amare incondizionatamente un bambino, di fornirgli le cure, la protezione e l’affetto necessari perché cresca come un adulto sano ed autonomo, non è una proprietà genetica, ma il frutto di equilibrio e consapevolezza dei padri e delle madri.

È diffusa una rappresentazione didascalica dei ruoli di padre e di madre che, come ogni stereotipo sociale, rasenta appena la realtà. Quella dei genitori uniti, dei genitori intrinsecamente capaci di prendersi cura e di crescere i figli.

La favola della “sacra famiglia”, invece, cede spesso all’esame di realtà. Coppie stanche, nevrotiche, divise, a volte sfibrate sin dall’origine, possono, senza dirselo e ancor meno saperlo, generare un figlio con l’intento maldestro di ridarsi un senso e stabilire, causa maternità/paternità, una tregua all’infelicità coniugale. E questa è probabilmente la radice della manipolazione affettiva dei genitori verso i figli.

Per esempio, il genitore manipolatore utilizza, per lo più inconsciamente, il bambino per avvantaggiarsi dell’affetto del coniuge, o per controllarlo. In altri casi, il bambino viene egoisticamente investito dal ruolo insostenibile di soddisfare i bisogni affettivi del genitore, di compensare la sua infelicità coniugale e/o esistenziale.

O, ancora, il figlio può essere utilizzato come “banca genetica” e sottoposto a pressioni affinché riproduca e conservi l’identità della “famiglia”, riproduca –magari in forma migliorata, compensando i “sogni mancati” della madre o del padre- il percorso dei genitori: dovrà fare lo stesso lavoro e dovrà comportarsi nello stesso modo dei genitori. Pena il silenzio, la punizione e il ricatto affettivo.

Burattini emotivi.

Così i bambini cullati nelle maglie del ricatto affettivo rischiano di trasformarsi in burattini emotivi designati a intrattenere per tutta l’infanzia lo spettacolo dei figli perfetti o dei figli problematici per compiacere genitori manipolatori, per conseguire il loro plauso nell’inconsapevole teatrino familiare. Sino alle svolte dell’adolescenza e dell’età adulta, dove questa crudele imposizione di ruolo potrebbe crollare disastrosamente e provocare lutti, conflitti e sintomi dilanianti, come succede, a volte anche più precocemente, nelle famiglie dove uno o entrambi i genitori manipolano i figli.

Quando un figlio nasce sotto la cattiva stella di una coppia irrisolta, purtroppo non tarderà a restituire ai genitori il peso della responsabilità inaccettabile di cui lo hanno gravato.

Ci sarà un momento nel suo ciclo di vita – l’infanzia, l’adolescenza o la prima età adulta- in cui il figlio sentirà la necessità di sottrarsi alla disfunzionalità affettiva di cui, egoisticamente anche se inconsapevolmente, è stato oggetto sin dal concepimento.

Il tentativo di svincolo può realizzarsi in diversi modi: per contestazione/conflitto, per auto-annullamento/resa o attraverso sintomi dello spettro psicopatologico come ansia, depressione e psicosi.

Contestazione/conflitto: tradire le aspettative dei genitori, fallire, deviare, anche gravemente, dai codici familiari (abuso di sostanze, comportamenti pericolosi e autolesivi, stile di vita promiscuo, ecc.)

Auto-annullamento/resa (per lo più asintomatica): manifestare di continuo il bisogno di approvazione dai genitori, uniformarsi passivamente alle attese familiari e riprodurre, nella propria vita, coppie e matrimoni infelici;

Sintomi: depressione, ansia, attacchi di panico, fobia sociale, inadeguatezza sociale, immaturità affettiva, solitudine, dipendenza affettiva.

Ognuna di queste condizioni si presenta associata alla dipendenza e alla manipolazione affettiva di almeno un genitore verso il figlio, ovvero una eccessiva e “storica” focalizzazione sul figlio correlata all’insoddisfazione grave relativa alla vita personale o di coppia.
In generale, i fattori di rischio di questa forma di manipolazione genitore-figlio,, spesso mascherata da “migliori intenzioni” o da “io so cosa è meglio per mio figlio”, si evidenziano nell’eccessivo controllo e nell’apprensione abnorme per le qualunque manifestazione di autonomia del figlio, vissuto non come individuo a sé, autonomo e capace, ma come fragile e inadeguata promanazione della madre e/o del padre.

Nella pratica psicoterapeutica non è raro incontrare bambini, adolescenti e giovani inviati dai genitori perché sofferenti, a volte drammaticamente sofferenti. E’ invece meno frequente stabilire un contatto davvero autentico e collaborativo con la coppia genitoriale. Quanto più la dipendenza affettiva verso il figlio o la figlia è strutturata, tanto meno sarà agevole coinvolgere la famiglia nel processo terapeutico. A volte, il rifiuto sarà netto, altre volte velato.

Nel caso di figli maggiorenni e relativamente autonomi, il terapeuta può certamente intervenire e incoraggiarli a dipanare pian piano i guinzagli emotivi che vincolano il loro sviluppo come adulti.

Nel caso di bambini e adolescenti, invece, il groviglio è più intricato perché implica la partecipazione della coppia genitoriale alla terapia e necessita giocoforza di una riflessione sulla funzionalità coniugale, sulla situazione attuale e sulla storia matrimoniale. Argomenti da cui i genitori manipolatori rifuggono quando, a qualche livello, avvertono che trattarli potrebbe modificare il precario equilibrio dipendente su cui, seppure inconsciamente, hanno fondato la coppia prima e la famiglia poi.

Enrico Maria Secci, Blog Therapy, Psicologo – Psicoterapeuta (tratto da “Psicoadvisor”)

I BAMBINI CHE PASSANO TANTO TEMPO CON PAPÀ? DIVENTANO PIÙ INTELLIGENTI

I bambini che fin dai primi mesi trascorrono tanto tempo con il proprio papà, secondo uno studio, crescono più intelligenti. Questo è il risultato dello studio condotto da un team di ricercatori britannici di tre prestigiosissime università: Imperial College London, King’s College London e Oxford University.

 

Lo studio è stato pubblicato su “Infant Mental Health Journal” e, come afferma il The Telegraph, i ricercatori hanno preso in esame 128 papà del Regno Unito (di diverso ceto sociale e di diverse aeree geografiche) e li hanno ripresi con una telecamera, mentre erano con i propri figli. Quello che gli studiosi hanno osservato maggiormente nel dettaglio è stato il comportamento di alcuni papà, mentre interagivano con i propri figli (senza giocattoli). Un’osservazione che è iniziata quando i figli avevano tre mesi e che poi è ripresa quasi due anni dopo, mentre questa volta i padri leggevano ai propri figli dei libri. Dopo aver fatto ciò, gli esperti hanno realizzato dei test cognitivi specifici per i bambini (uno che prevedeva un riconoscimento di colori e figure e uno di comprensione di un libro). Il risultato è stato stupefacente. Infatti, i bambini (indipendentemente dal fatto di essere femmine o maschi) che hanno ottenuto i risultati nettamente più brillanti sono quelli che hanno trascorso più tempo con i propri papà fin dai primi mesi. Ecco quello che ha affermato alla BBC il professore Paul Ramchandani (che capitanava la ricerca):

“Anche così presto come nei primi tre mesi di vita le interazioni tra il papà e il figlio possono produrre risultati positivi osservabili già due anni dopo”.

Ma attenzione, ciò che conta però, è anche e soprattutto l’umore dei papà. Infatti, i bambini che nei primi mesi di vita hanno avuto un padre introverso o depresso, hanno ottenuto il punteggio più basso nei test.

A raccontarlo è la dottoressa Vaheshta Sethna, del King’s College:

“Abbiamo anche scoperto che i bambini che interagiscono durante la sessione di lettura con un padre sensibile, calmo e poco ansioso sono quelli che all’età di due anni dimostrano un maggiore sviluppo, e una maggiore abilità linguistica e capacità di risolvere i problemi. Questo suggerisce che le attività di lettura aiutano i bambini e inoltre i nostri risultati dimostrano l’importanza di avere un padre presente e positivo con i propri figli”.

Be’ papà italiani, siete avvisati…
I bambini che passano tanto tempo con papà? Diventano più intelligenti.

“Rds – Infant Mental Health Journal”

3 MODI PER DISTRUGGERE L'AUTOSTIMA DI UN BAMBINO

Ogni genitore desidera che il proprio figlio cresca sicuro di sé e capace di affrontare qualunque situazione della vita. Ma a volte, senza volerlo, un adulto ottiene l’effetto contrario perché con le parole o il comportamento, contribuisce a distruggere l’autostima del bambino.

 

I bambini hanno bisogno di essere sostenuti e incoraggiati dai genitori in tutto quello che fanno. Per un adulto potrebbe sembrare una sciocchezza, ma per un bambino è una questione molto seria. Un incoraggiamento, un aiuto a fare le cose meglio e tanto amore sono tutto ciò che un bambino necessita.

In alcune circostanze un genitore può dire o fare inavvertitamente qualcosa che fa sentire il bambino poco apprezzato. Oppure, peggio ancora, che danneggi seriamente la sua autostima. Ecco alcuni errori che commettiamo nei confronti dei nostri figli; esserne coscienti ci aiuta a non ripeterli più.

Fare troppe cose al posto del bambino.

Vostro figlio vuole fare i compiti a casa da solo; se, invece, li “fate voi al posto suo”, penserà che non sia necessario farli o che non siano di sua competenza. In questo modo smetterà di farli volentieri. Quando i bambini riescono a portare a termine un compito ne ricavano grande soddisfazione e si sentono a posto con sé stessi.

Che cosa succede quando fate troppe cose per conto del vostro bambino?
Fare le cose al posto del bambino può essere il vostro modo per dimostrare affetto ma, in realtà, non gli state facendo un favore. In questo modo negate al bambino l’opportunità di acquisire le competenze necessarie per la vita, danneggiandolo quando sarà adulto. Inoltre, si crea in lui eccessiva dipendenza e lo si priva della soddisfazione di ottenere le cose da solo. In definitiva, aiutare troppo vostro figlio gli darà la convinzione di non essere capace di raggiungere i suoi obiettivi.

Come risolvere questo problema.
Non fate troppo per i vostri bambini, ma aiutateli a cavarsela da soli. Se sbagliano niente paura: avranno la possibilità di ripetere e di imparare dai propri errori … e l’autostima sarà rafforzata.

Di fronte alle difficoltà dire: è facile!

Quando vostro figlio si sta sforzando per ottenere qualcosa, anche se si tratta solo dei compiti a casa, potrebbe essere molto facile per voi, ma difficile per vostro figlio.

Cosa succede quando dite al bambino: è facile.
Parole come: “È facile, ce la fai benissimo”, vengono pronunciate con l’intenzione di motivare e incoraggiare il bambino. In realtà, potrebbero indurre vostro figlio a pensare di avere in sé qualcosa che non va: “Se per me è difficile e per la mamma è facile, forse è perché sono stupido io”.. Questo porta il bambino a scoraggiarsi e a gettare subito la spugna. Ecco come abbiamo colpito la sua autostima senza rendercene conto.

Come comportarsi.
Invece di incoraggiarlo dicendo che è facile, provate con: “Potrebbe essere un po’ difficile” oppure “Anche io, alla tua età, lo trovavo difficile, ma con un po’ di impegno si possono ottenere buoni risultati”. In questo modo, il bambino che si trova di fronte ad una difficoltà capirà che, per quanto all’inizio possa essere difficile, impegnandosi a fondo ce la può fare. Questo è un messaggio motivante, che rafforza la sua autostima.

Non lasciarlo sbagliare.

Gli errori fanno parte della vita e tutti dobbiamo imparare da essi, adulti e bambini. Potreste pensare che sia un dovere aiutare vostro figlio a non commettere errori. Questo atteggiamento lo renderà indifeso di fronte alla vita e la sua autostima ne uscirà notevolmente compromessa.

Cosa succede quando non consentite a vostro figlio di sbagliare?
Se il bambino non può permettersi di sbagliare o viene iperprotetto, non si saprà “sbrogliare” nella vita adulta. Diventerà una persona dipendente con una cattiva opinione di sé. Sarà portato a pensare che commettere un errore è male, perché ne ha un’esperienza dolorosa. Non dovete negare a vostro figlio la possibilità di imparare dai propri errori, di ammettere di aver sbagliato e di avere la soddisfazione di sapervi porre rimedio.

Come aiutare vostro figlio.
Non impeditegli di sbagliare, aiutatelo invece a fare le cose nel miglior modo possibile e ad essere responsabile delle proprie azioni. Solo così avrà una visione sana degli errori e si renderà conto di quanto possano essere utili nella vita.

Autore “Siamo mamme”.