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INVECE DI GIUDICARE, OFFRIAMO UN’ALTERNATIVA

Il pensiero laterale offre ai genitori una cassetta degli attrezzi molto sofisticata: imparare ad evitare i giudizi e a lavorare su un ampio ventaglio di soluzioni, anche sulle più improbabili, è utile in più di un’occasione.

Decidere di allenare il proprio pensiero laterale è vantaggioso anche sul piano dell’intelligenza emotiva e dell’allenamento emotivo dei figli. Leggi questo breve estratto in cui John Gottman, in “Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori” ci insegna a non giudicare, ma ad offrire un’alternativa concreta:

“Come genitori nessuno di noi vuole che i nostri figli si accontentino di costruire scatole traballanti. Non vogliamo che i figli crescano pigri, ritrosi, aggressivi, stupidi, codardi, falsi. Ma non vogliamo nemmeno che questi difetti divengano le caratteristiche con cui i nostri figli definiscono se stessi. Come si può evitare questo genere di etichette negative? La risposta è astenersi dalle critiche generali e persistenti sui tratti della personalità del bambino. Quando si correggono i figli, bisogna concentrare l’attenzione su un episodio specifico, che è avvenuto qui e ora nella loro vita. Invece di dire: «Sei così distratto e confusionario,» bisogna dire: «Nella tua stanza i giocattoli sono sparsi dappertutto».
Invece di dire: «Leggi troppo lentamente,» è bene dire: «Se ogni sera ti dedicherai alla lettura per mezz’ora, imparerai a leggere più in fretta».
Invece di «Sei muto come un pesce,» dite: «Se parli più forte, la cameriera può sentire quello che dici».”

Il principio è semplicissimo; eppure, quante volte non riusciamo a comportarci così? Troppe. Questo dipende in parte dalla stanchezza (lo stesso Gottman insegna che ci sono casi in cui si è troppo stanchi per educare in modo efficace, e in quei casi sarebbe meglio farlo presente ai ragazzi e ritagliarsi una pausa rigenerante), ma più frequentemente la responsabilità è delle nostre abitudini mentali poco creative. Siamo talmente abitudinari che ci “dimentichiamo” di cercare un’alternativa creativa da offrire ai nostri figli.

Lavoriamo sul pensiero laterale a partire da questi casi, quelli in cui giudichiamo per incapacità di offrire una soluzione. Cominciamo giocando e perseveriamo, finché questa buona abitudine non sarà diventata uno stile di pensiero vero e proprio.

J. Gottman, Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori, BUR, 2015, pag. 168

L’insegnamento più importante di Maria Montessori alle madri

L’INSEGNAMENTO PIÙ IMPORTANTE DI MARIA MONTESSORI ALLE MADRI

Questa lettura fa parte di un ciclo di tre letture tratte da “Il bambino in famiglia”, che contengono i tre consigli di Maria Montessori alle madri (e, aggiungiamo noi, ai padri).


“Cercherò di enumerare i principi che possono servire alla madre per trovare la via più giusta.
Il più importante è: rispettare tutte le forme di attività ragionevole del bambino e cercare di intenderle.

Dirò prima di tutto di una bambina di tre mesi, un piccolo essere sulla soglia della vita.
Questa bambina sembrava avere appena allora scoperto le sue mani e faceva ogni sforzo per osservarle bene, ma le sue braccine erano troppo corte e, per guardarsi le mani, doveva torcere gli occhi. Era dunque in grado di compiere uno sforzo abbastanza grande. C’era tanto da osservare intorno a lei, ma soltanto le sue manine la interessavano. I suoi sforzi erano l’espressione di un istinto, che sacrificava le proprie comodità per appagare un soddisfacimento interiore.
Più tardi diedero alla bambina qualcosa da tenere in mano, da toccare. Lo teneva con indifferenza.
Quell’oggetto, apparentemente, non la interessava. Aprì la manina e lo lasciò cadere senza punto curarsene. Invece il suo visino prendeva un’espressione intelligente ogni volta che si sforzava di afferrare oggetti con le manine – vicini o lontani – spesso senza riuscirvi. Osservava con aria interrogativa le sue manine, come per dire: «Com’è che qualche volta riesco ad afferrarli e altre volte no?».
Evidentemente il problema della funzione delle mani aveva attirato la sua attenzione. Quando poi questa piccina arrivò a sei mesi, le diedero un sonaglio con un campanellino d’argento. Glielo misero in mano, aiutandola a scuoterlo per far suonare il campanellino. Dopo qualche minuto la bambina lasciò cadere il sonaglio. Lo raccolsero e glielo diedero nuovamente, e così per molte volte.
Sembrava che la bambina avesse uno scopo nel far cadere il sonaglio e nel rivolerlo subito dopo.

Un giorno, mentre lo teneva ancora nella manina, cominciò, invece di aprire, come al solito, tutta la mano, a sciogliere prima un dito, poi un altro e un altro; finalmente si aprì anche l’ultimo ditino e il sonaglio cadde a terra. La piccina si guardava le dita con la più grande attenzione. Rifece il movimento continuando a guardare le sue piccole dita. Quello che l’interessava non era evidentemente il sonaglio, ma il gioco, la «funzione» delle dita che sapevano tenere quell’oggetto, e quest’osservazione le procurava gioia. Prima la bambina aveva forzato gli occhi in una posizione incomoda per poter osservare la mano, ora ne studiava il funzionamento. La madre saggia si limitava a raccogliere pazientemente e restituire il sonaglio. Prendeva parte, così, all’attività della sua figliolina e capiva la grande importanza che aveva per lei il ripetersi di questo esercizio.
Questo è un piccolo fatto, che spiega i bisogni più semplici di un bambino nella sua prima età.

Forse molti dubiteranno che vi sia nei più piccini questa vita interiore. Bisogna, certo, imparare a capire il linguaggio dell’anima che si forma, come ogni altro linguaggio, se si vogliono conoscere le necessità dei piccoli esseri e persuadersi della loro importanza per la vita che si sviluppa.
Il rispetto della libertà del bambino consiste nell’aiutarlo nei suoi sforzi per crescere.

Un altro caso.
Un bambino di circa un anno guardava un giorno delle figure che la madre gli aveva preparato già prima ch’egli nascesse. Il piccino baciava le figure dei bimbi ed era attirato specialmente dalle figurine più piccole. Sapeva anche distinguere le immagini dei fiori e le avvicinava al visino facendo mostra di odorarle.
Era chiaro che il bambino sapeva come ci si comporta coi fiori e coi bambini. Alcune persone presenti trovarono che il piccino aveva una grazietta inimitabile e si misero a ridere e cominciarono a fargli baciare e odorare una quantità di oggetti, ridendo di queste sue manifestazioni, che a loro sembravano buffe, e alle quali non annettevano nessun significato. Gli diedero dei colori da odorare e dei cuscini da baciare, ma il piccino divenne tutto confuso e dal suo visino era scomparsa quell’espressione attenta e intelligente che dianzi lo abbelliva tanto.
Prima era stato tutto felice di saper distinguere una cosa dall’altra e di esplicare l’attività corrispondente: era questo un nuovo, importante acquisto della sua intelligenza, questa occupazione ragionevole l’aveva reso completamente felice.
Ma egli non aveva ancora la forza interna per difendersi dalla intromissione brutale degli adulti.
Così finì col baciare e odorare tutto indistintamente, ridendo nel veder ridere coloro che lo attorniavano e che gli avevano sbarrato la via per evolversi indipendentemente.
Quante volte facciamo qualcosa di simile coi nostri bambini senza saperlo!”

Maria Montessori, Il bambino in famiglia, Garzanti, 2018