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Autodisciplina nello studiare

L’AUTO-DISCIPLINA È MOLTO PIÙ IMPORTANTE DEL QUOZIENTE DI INTELLIGENZA (ed è il motivo per cui i nostri ragazzi falliscono a scuola)

In America, un rendimento scolastico scadente è solitamente attribuito all’incapacità degli insegnanti, ai programmi scolastici noiosi e alle classi troppo numerose. La stessa cosa accade qui in Italia: gli insegnanti sono noiosi e impreparati, i compiti eccessivi e via dicendo. Tuttavia, esiste un’altra spiegazione per dare conto dell’incapacità degli studenti di esprimere il proprio potenziale intellettuale, ed è il loro fallimento nell’auto-disciplina.

La chiave per il successo scolastico è l’auto-disciplina
Angela Duckworth, studiosa americana che ha concentrato le sue ricerche proprio in questo campo, è convinta che i problemi scolastici siano siano dovuti ai problemi che i bambini americani dimostrano nel compiere scelte che richiedono un sacrificio nel breve termine per ottenere un beneficio nel lungo termine. In altre parole, mancano la grinta e la disciplina necessarie a sostenere una piccola dose di noia e fatica in vista del successo personale futuro. La Duckworth, utilizzando questa teoria dell’auto-disciplina, è riuscita a spiegare il gap nelle prestazioni scolastiche tra maschi e femmine: le studentesse ottengono risultati migliori poiché hanno una capacità maggiore di disciplinarsi. Inoltre, l’auto-disciplina si è rivelata una misura molto più efficace rispetto al QI (il quoziente intellettivo) nel predire i risultati scolastici.

GRIT test (Test per misurare la grinta)
Esiste un test per misurare il proprio livello di grinta e valutare l’auto-disciplina, sviluppato proprio dalla dott.ssa Duckworth. Il test richiede pochi minuti; si tratta di assegnare un punteggio a otto frasi in base a quanto rappresentano la tua persona. Ecco come assegnare il punteggio:

1 = Non mi rappresenta affatto
2 = Non mi rappresenta più di tanto
3 = In qualche modo mi rappresenta
4 = Mi rappresenta bene
5 = Sono io! Mi rappresenta alla perfezione

E adesso, ecco le otto frasi alle quali attribuire il punteggio:

  1. A volte una nuova idea o un nuovo progetto mi distrae da quelli che sto portando a termine.
  2. Se incontro degli ostacoli o la strada è in salita (metaforicamente!) non mi scoraggio.
  3. Certe idee o progetti sono il mio unico pensiero per un breve periodo di tempo, poi perdo l’interesse.
  4. Mi piace lavorare duro.
  5. Spesso mi prefiggo un obiettivo, ma poi scelgo di perseguirne un altro.
  6. Ho difficoltà a mantenere la concentrazione su un progetto che richiede più di un mese per essere portato a termine.
  7. Finisco ciò che comincio.
  8. Sono una persona diligente.

Fatto? Ecco come calcolare il risultato finale:

  • Somma i punteggi delle frasi 2, 4, 7 e 8.
  • Somma i punteggi delle frasi 1, 3, 5 e 6; sottrai questo numero a 24.
  • Somma i due numeri che hai ottenuto e dividi il risultato per 8 (utilizza una calcolatrice e considera le prime due cifre decimali).

Ecco un esempio svolto.
Immagina di aver ottenuto i seguenti risultati per le 8 frasi:

  1. 3
  2. 2
  3. 4
  4. 4
  5. 4
  6. 2
  7. 3
  8. 3

Adesso devi calcolare il tuo punteggio:

  • Sommiamo i punteggi delle frasi 2, 4, 7 e 8. Otteniamo 12.
  • Adesso sommiamo i risultati delle frasi 1, 3, 5 e 6. Otteniamo 13. Adesso sottraiamo 13 a 24. Otteniamo 11.
  • Per concludere, sommiamo 12 e 11. Otteniamo 23, che dobbiamo dividere per 8, considerando le prime due cifre decimali. Otteniamo 2,87.

Il risultato più elevato che si può ottenere è 5, mentre il risultato più basso che si può ottenere è 1. Il risultato medio per la popolazione maschile è 3,37, mentre per la popolazione femminile è 3,43.
E tu, che risultato hai ottenuto?

 

Angela Duckworth, Grinta. Il potere della passione e della perseveranza, Giunti, 2017

Intervista a Story Time

INTERVISTA SU BUY AND HELP A STORY TIME - RADIO CANALE ITALIA

Registrazione dell’intervista del 14 Febbraio 2023 di Marco Ferrado ad Alessio Reolon, per la trasmissione Story Time su Radio Canale Italia.

 

 

LA BUONA EDUCAZIONE PER PREPARARSI ALLA SCUOLA

Daniele Novara, pedagogista e fondatore del CPP, è convinto dell’importanza della buona educazione, ovvero l’insieme delle buone pratiche convalidate dalla scienza e alla portata di tutti.

Purtroppo, la proliferazione incontrollata delle informazioni, unita alla mistificazione delle fonti, può trarre in inganno un genitore che, come è naturale, non è detto sia uno scienziato o un pedagogista.

Facciamo un esempio.

Daniele Novara, nel suo testo “Non è colpa dei bambini“, suggerisce tre buone pratiche per tutti i bambini in età scolare:

A scuola in buone condizioni:

Uno: i bambini devono dormire. Un bambino che frequenta un tempo pieno ha bisogno di dormire almeno 10 ore per notte.

Due: i bambini devono fare colazione prima di arrivare a scuola. Sembra scontato, eppure la gestione della fase del risveglio è un problema piuttosto diffuso e serio. Se un bambino non fa colazione, inevitabilmente andrà in crisi, è fisiologico.

Tre: occorre evitare l’invadenza degli schermi. Un bambino che passa 2 o 3 ore al giorno davanti a un videoschermo, magari prima di dormire e prima di andare a scuola, inevitabilmente nel contesto scolastico sarà distratto, quando non addirittura assente. Gli studi più recenti che hanno approfondito la questione sostengono che il tempo massimo che in fase di sviluppo un bambino dovrebbe passare davanti a uno schermo sia sui 40 minuti al giorno“.

In sostanza, l’educazione comincia realizzando un ambiente adatto e favorevole all’apprendimento, un ambiente a partire dal quale sarà possibile compiere tanti passi ulteriori.

D. Novara, Non è colpa dei bambini, BUR, 2017

ASSECONDIAMO IL DESIDERIO DI ATTIVITÀ DEL BAMBINO

Questa lettura fa parte di un ciclo di tre letture tratte da “Il bambino in famiglia”, che contengono i tre consigli di Maria Montessori alle madri (e, aggiungiamo noi, ai padri).

“Il secondo principio è questo: bisogna assecondare quanto più è possibile il desiderio di attività del bambino; non servirlo, ma educarlo all’indipendenza.”

Il bambino si sviluppa secondo natura, è vero, ma appunto perciò ha bisogno di esercitarsi molto.
Se gli manca l’esercizio, la sua intelligenza rimane in un gradino inferiore; direi quasi che vi è una specie di sosta nello sviluppo di quei bambini che da piccoli sono sempre stati sorretti e guidati. Chi non sa rispettare le manifestazioni dei piccoli, fin dai primi pasti, dopo l’allattamento, caccerà loro brutalmente in bocca il cucchiaino della pappa.
Invece, se si farà sedere il bambino al suo tavolino lasciandogli il tempo necessario per mangiare, si vedrà subito la sua manina afferrare il cucchiaino e portarlo alla bocca. Questo è certo un grande compito per una madre e ci vuole molta pazienza e molto amore; la madre deve nutrire contemporaneamente il corpo e lo spirito, ma lo spirito deve avere la precedenza. Occorre che essa lasci da parte momentaneamente i suoi concetti – certo lodevolissimi – riguardo alla pulizia, poiché in questo caso essi hanno un valore del tutto secondario. Il bambino che comincia a mangiare da solo non sa certo farlo bene e per conseguenza si insudicia molto.
Ebbene, si sacrifichi la pulizia al suo giustificato impulso di attività. Nel corso del suo sviluppo, il bambino perfezionerà i movimenti e imparerà a mangiare senza insudiciarsi. La pulizia, quando è conquistata così, rappresenta un vero progresso, un trionfo per lo spirito infantile. Lo sforzo di volontà di cui il bambino è capace si dimostra in una quantità di esercizi ragionevoli che egli compie continuamente. Assai prima di parlare, anzi, assai prima di camminare – già verso la fine del primo anno di vita – comincia ad agire, come se obbedisse a una voce interiore.
I suoi tentativi per mangiare da solo adoperando il cucchiaino sono commoventi: non riesce a portare alla bocca il cibo che desidera – ha fame – eppure respinge tutti quelli che lo vogliono aiutare. Soltanto dopo aver placato il suo bisogno di attività accetta l’aiuto della madre.

Un giorno, con un bambino di un anno che aveva appena imparato a camminare, ero in campagna su di un sentiero sassoso; il mio primo impulso fu di prendere il bambino per mano, ma mi trattenni dal farlo e cercai di guidarlo con le parole: «Cammina da questo lato!» – e «Bada, qui c’e un sasso!» – «Stai attento qui!».
Egli ascoltava tutto con una specie di gioconda serietà e obbediva.
Non cadde mai, né si fece male. Io lo guidavo passo passo col leggero mormorio della mia voce ed egli mi ascoltava attentamente e godeva così di poter compiere un’attività ragionevole, di comprendere le mie parole e di corrispondervi coi suoi movimenti.
Guidare il bambino in questo modo: ecco il vero compito della madre. Il vero aiuto non dev’essere prestato per cose inutili o arbitrarie; deve corrispondere agli sforzi dell’anima infantile. Il presupposto dev’essere la comprensione della natura infantile e il rispetto per tutte le forme della sua attività istintiva”.

Maria Montessori, Il bambino in famiglia, Garzanti, 2018 

I tre pilastri dell’educazione

I TRE PILASTRI DELL'EDUCAZIONE

Lo psichiatra Paolo Crepet ha individuato tre elementi fondamentali che dovrebbero guidare un genitore nel crescere i suoi figli, tre stelle da seguire: autonomia, autostima, creatività.

La giusta mescolanza di questi tre fattori è in grado di produrre una generazione determinata e sicura di sé, ma anche capace di seguire passioni e ideali. Qualcuno potrebbe pensare che le si apprendano in modo spontaneo, nel corso naturale della crescita. Ma questo è vero solo in parte.

Crepet, in “La gioia di educare” prende l’esempio di un bambino piccolo che, attirato da un vaso rosso poggiato su un mobile, gattona fino ai piedi del mobile e dunque cerca di alzarsi sulle sue gambe per afferrarlo. In questo gesto vi è una miscela portentosa di autonomia (il bambino compie questa impresa mosso da un proprio interesse e contando sulle sue sole forze), autostima (il bambino si muove spinto da un piacere sincero nel fare quel che fa) e creatività (il bambino, non potendo raggiungere il vaso gattonando, crea una soluzione: si alza).

Il bambino, se nessuno intervenisse a correggerlo, svilupperebbe in modo naturale le sue tre doti fondamentali. Eppure, come sottolinea lo psichiatra, la prima reazione degli adulti che lo circondano sarebbe quella di tendergli il vaso, o di portarlo via per paura che si ferisca. Ecco spiegato il motivo per cui autonomia, autostima e creatività spesso non riescono a svilupparsi a sufficienza: la cattiva educazione.

“Cosa fa infatti il cattivo educatore? Prende quel bicchiere e glielo porge, magari dicendogli: tesoro mio, non c’è nessun bisogno che fai tutti questi sforzi, non è necessario cadere e rialzarsi ogni volta, ci sono qui io e ti posso aiutare…io ti voglio bene.
Un gesto così l’abbiamo chiamato spesso amore, invece è un tranello“. Paolo Crepet

Quest’idea non è del tutto nuova: parole simili furono spese da Maria Montessori a proposito di tutti quei casi in cui aiutando un bambino, piuttosto che fargli del bene, lo danneggiamo.

P. Crepet, La gioia di educare, Einaudi, 2015

INVECE DI GIUDICARE, OFFRIAMO UN’ALTERNATIVA

Il pensiero laterale offre ai genitori una cassetta degli attrezzi molto sofisticata: imparare ad evitare i giudizi e a lavorare su un ampio ventaglio di soluzioni, anche sulle più improbabili, è utile in più di un’occasione.

Decidere di allenare il proprio pensiero laterale è vantaggioso anche sul piano dell’intelligenza emotiva e dell’allenamento emotivo dei figli. Leggi questo breve estratto in cui John Gottman, in “Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori” ci insegna a non giudicare, ma ad offrire un’alternativa concreta:

“Come genitori nessuno di noi vuole che i nostri figli si accontentino di costruire scatole traballanti. Non vogliamo che i figli crescano pigri, ritrosi, aggressivi, stupidi, codardi, falsi. Ma non vogliamo nemmeno che questi difetti divengano le caratteristiche con cui i nostri figli definiscono se stessi. Come si può evitare questo genere di etichette negative? La risposta è astenersi dalle critiche generali e persistenti sui tratti della personalità del bambino. Quando si correggono i figli, bisogna concentrare l’attenzione su un episodio specifico, che è avvenuto qui e ora nella loro vita. Invece di dire: «Sei così distratto e confusionario,» bisogna dire: «Nella tua stanza i giocattoli sono sparsi dappertutto».
Invece di dire: «Leggi troppo lentamente,» è bene dire: «Se ogni sera ti dedicherai alla lettura per mezz’ora, imparerai a leggere più in fretta».
Invece di «Sei muto come un pesce,» dite: «Se parli più forte, la cameriera può sentire quello che dici».”

Il principio è semplicissimo; eppure, quante volte non riusciamo a comportarci così? Troppe. Questo dipende in parte dalla stanchezza (lo stesso Gottman insegna che ci sono casi in cui si è troppo stanchi per educare in modo efficace, e in quei casi sarebbe meglio farlo presente ai ragazzi e ritagliarsi una pausa rigenerante), ma più frequentemente la responsabilità è delle nostre abitudini mentali poco creative. Siamo talmente abitudinari che ci “dimentichiamo” di cercare un’alternativa creativa da offrire ai nostri figli.

Lavoriamo sul pensiero laterale a partire da questi casi, quelli in cui giudichiamo per incapacità di offrire una soluzione. Cominciamo giocando e perseveriamo, finché questa buona abitudine non sarà diventata uno stile di pensiero vero e proprio.

J. Gottman, Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori, BUR, 2015, pag. 168

L’insegnamento più importante di Maria Montessori alle madri

L’INSEGNAMENTO PIÙ IMPORTANTE DI MARIA MONTESSORI ALLE MADRI

Questa lettura fa parte di un ciclo di tre letture tratte da “Il bambino in famiglia”, che contengono i tre consigli di Maria Montessori alle madri (e, aggiungiamo noi, ai padri).


“Cercherò di enumerare i principi che possono servire alla madre per trovare la via più giusta.
Il più importante è: rispettare tutte le forme di attività ragionevole del bambino e cercare di intenderle.

Dirò prima di tutto di una bambina di tre mesi, un piccolo essere sulla soglia della vita.
Questa bambina sembrava avere appena allora scoperto le sue mani e faceva ogni sforzo per osservarle bene, ma le sue braccine erano troppo corte e, per guardarsi le mani, doveva torcere gli occhi. Era dunque in grado di compiere uno sforzo abbastanza grande. C’era tanto da osservare intorno a lei, ma soltanto le sue manine la interessavano. I suoi sforzi erano l’espressione di un istinto, che sacrificava le proprie comodità per appagare un soddisfacimento interiore.
Più tardi diedero alla bambina qualcosa da tenere in mano, da toccare. Lo teneva con indifferenza.
Quell’oggetto, apparentemente, non la interessava. Aprì la manina e lo lasciò cadere senza punto curarsene. Invece il suo visino prendeva un’espressione intelligente ogni volta che si sforzava di afferrare oggetti con le manine – vicini o lontani – spesso senza riuscirvi. Osservava con aria interrogativa le sue manine, come per dire: «Com’è che qualche volta riesco ad afferrarli e altre volte no?».
Evidentemente il problema della funzione delle mani aveva attirato la sua attenzione. Quando poi questa piccina arrivò a sei mesi, le diedero un sonaglio con un campanellino d’argento. Glielo misero in mano, aiutandola a scuoterlo per far suonare il campanellino. Dopo qualche minuto la bambina lasciò cadere il sonaglio. Lo raccolsero e glielo diedero nuovamente, e così per molte volte.
Sembrava che la bambina avesse uno scopo nel far cadere il sonaglio e nel rivolerlo subito dopo.

Un giorno, mentre lo teneva ancora nella manina, cominciò, invece di aprire, come al solito, tutta la mano, a sciogliere prima un dito, poi un altro e un altro; finalmente si aprì anche l’ultimo ditino e il sonaglio cadde a terra. La piccina si guardava le dita con la più grande attenzione. Rifece il movimento continuando a guardare le sue piccole dita. Quello che l’interessava non era evidentemente il sonaglio, ma il gioco, la «funzione» delle dita che sapevano tenere quell’oggetto, e quest’osservazione le procurava gioia. Prima la bambina aveva forzato gli occhi in una posizione incomoda per poter osservare la mano, ora ne studiava il funzionamento. La madre saggia si limitava a raccogliere pazientemente e restituire il sonaglio. Prendeva parte, così, all’attività della sua figliolina e capiva la grande importanza che aveva per lei il ripetersi di questo esercizio.
Questo è un piccolo fatto, che spiega i bisogni più semplici di un bambino nella sua prima età.

Forse molti dubiteranno che vi sia nei più piccini questa vita interiore. Bisogna, certo, imparare a capire il linguaggio dell’anima che si forma, come ogni altro linguaggio, se si vogliono conoscere le necessità dei piccoli esseri e persuadersi della loro importanza per la vita che si sviluppa.
Il rispetto della libertà del bambino consiste nell’aiutarlo nei suoi sforzi per crescere.

Un altro caso.
Un bambino di circa un anno guardava un giorno delle figure che la madre gli aveva preparato già prima ch’egli nascesse. Il piccino baciava le figure dei bimbi ed era attirato specialmente dalle figurine più piccole. Sapeva anche distinguere le immagini dei fiori e le avvicinava al visino facendo mostra di odorarle.
Era chiaro che il bambino sapeva come ci si comporta coi fiori e coi bambini. Alcune persone presenti trovarono che il piccino aveva una grazietta inimitabile e si misero a ridere e cominciarono a fargli baciare e odorare una quantità di oggetti, ridendo di queste sue manifestazioni, che a loro sembravano buffe, e alle quali non annettevano nessun significato. Gli diedero dei colori da odorare e dei cuscini da baciare, ma il piccino divenne tutto confuso e dal suo visino era scomparsa quell’espressione attenta e intelligente che dianzi lo abbelliva tanto.
Prima era stato tutto felice di saper distinguere una cosa dall’altra e di esplicare l’attività corrispondente: era questo un nuovo, importante acquisto della sua intelligenza, questa occupazione ragionevole l’aveva reso completamente felice.
Ma egli non aveva ancora la forza interna per difendersi dalla intromissione brutale degli adulti.
Così finì col baciare e odorare tutto indistintamente, ridendo nel veder ridere coloro che lo attorniavano e che gli avevano sbarrato la via per evolversi indipendentemente.
Quante volte facciamo qualcosa di simile coi nostri bambini senza saperlo!”

Maria Montessori, Il bambino in famiglia, Garzanti, 2018