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Bambini e autostima

AUTOSTIMA IN 7 REGOLE: ECCO COME CRESCERE BAMBINI SICURI

Dargli obiettivi realistici, complimentarsi per i successi, criticarlo ma in modo costruttivo, credere in lui, aiutarlo al momento giusto, fare il tifo per lui e fargli coltivare i suoi talenti.

 

Sono questi i 7 consigli del pedagogo francese Bruno Hourst per crescere figli capaci di affrontare le avversità della vita.

La stima di sé è l’arma fondamentale per riuscire nella vita e si costruisce principalmente durante l’infanzia.

Parola dello psicologo e pedagogo francese Bruno Hourst, secondo il quale è proprio la mancanza di autostima il maggior freno allo sviluppo e all’espressione delle proprie capacità.

Aiutato dai genitori, dunque, un bambino può crescere sano, forte ma anche ricco di resilienza non solo nel fisico ma anche nello spirito. Ma come possono i genitori aiutarlo a crescere consapevole di se e del proprio valore? Insomma, come motivare i bambini tutti i giorni?

Sotto trovate 7 semplici regole da applicare nella vita di tutti i giorni, oltre ai consigli sull’importanza di incoraggiare i bambini a dire quello che pensano, rafforzare la memoria del successo e il senso di invisibilità.
7 regole per rafforzare l’autostima di tuo figlio, coltivare la memoria del successo, combattere il senso di invisibilità.

La 7 regole per coltivare l’autostima di tuo figlio

1 ) Per evitare che si scoraggi, se l’obiettivo è impegnativo si può aiutare il bambino a tagliare il traguardo attraverso alcune tappe. Se, ad esempio, ha 4 in matematica, è irrealistico pretendere un 8 a breve termine. È invece più facile che riesca ad arrivare al 5 la volta successiva, al 6 quella dopo ancora e al 7 alla terza prova per raggiungere l’8 alla quarta.

2 ) Per rafforzare la memoria dei successi (quali che siano: anche un goal alla partita all’oratorio) può essere utile creare un “calendario dei successi”, sul quale annotarne uno ogni settimana perché sia immediatamente visibile.

3 ) Se rompe un piatto apparecchiando, non bisogna aggredirlo immediatamente. Invece, è meglio prima complimentarsi per aver assolto al suo compito, e poi dirgli che “però sarebbe stato meglio se il piatto fosse stato ancora intero”. In generale, funziona molto bene la “regola del sandwich”: un complimento, una critica, un complimento (“Grazie per avermi aiutato, ma non hai ancora sistemato camera tua. Ah, dimenticavo: ancora bravo per l’8 in italiano”).

4 ) Basta una frase: “Ho fiducia in te, ce la farai”. Sembra una banalità, ma il fatto di sapere che qualcuno crede in lui, per il bambino è fondamentale, e lo aiuta ad aver fiducia nelle proprie capacità per affrontare senza paura anche situazioni nuove. Una fiducia che si può rafforzare anche affidandogli qualche responsabilità in casa (adeguata alla sua età, ma senza mettere l’asticella troppo in basso: il “ti piace vincere facile” fa danni).

5 ) Quando lo scoramento prende il sopravvento a causa di una caduta nella strada verso il traguardo, bisogna aiutare il bambino a rialzarsi. Facendogli capire che nella vita un fallimento può sempre capitare, ma che alla lunga gli sforzi vengono comunque ricompensati.

6 ) Il rafforzamento positivo nei confronti del bambino si ottiene anche con piccole cose: “Simpatica la tua maglietta”, “Bella questa pettinatura”, “Il tuo zaino è molto più ordinato di una volta”… Però bisogna evitare di fare l’errore di sovrastimare le sue capacità: dirgli in continuazione “sei un genio”, per esempio, rischia di essere controproducente. Perché, alla prova dei fatti, potrebbe accorgersi di non essere veramente a un livello molto più alto di compagni e amici. E cadere dall’alto di un piedistallo fa più male.

7 ) La buona riuscita a scuola non sempre va di pari passo con le capacità di ciascuno: Einstein (giudicato uno studente mediocre dai suoi professori) ne è l’esempio. Quindi, per preparare un bambino alla vita, è bene fargli coltivare i suoi talenti e le sue passioni, senza pregiudizi: preferite che vostro figlio diventi un ottimo cuoco o un pessimo medico?

Coltivare la memoria del successo

Secondo lo psicologo e pedagogo francese Bruno Hourst, in un articolo pubblicato sul proprio sito, per aiutare i propri figli a diventare degli adulti sicuri di se e del proprio valore bisogna coltivare la “memoria dei successi”: se un bambino si rifiuta di fare qualcosa perché non è certo di riuscire, non saprà mai davvero se invece sarebbe stato in grado di svolgere quel compito.

“Il rifiuto – spiega Hourst – si basa generalmente sulla “memoria dei fallimenti” a cui è andato incontro in passato: il bambino, così come l’adulto, non riesce a immaginare di essere in grado di fare qualcosa perché non si ricorda di essere mai riuscito a fare qualcosa si analogo”.

Ecco allora che bisogna aiutarlo a ricordare i suoi successi, anche i più piccoli, anche quelli che sembrano insignificanti: un bel voto in un compito in classe, per esempio, oppure il fatto di essere riuscito a declamare una poesia davanti a 20 persone, o ancora l’aver imparato ad andare in bicicletta senza rotelle.

Piccole vittorie, senza dubbio, che però possono spingere il bambino a raggiungere traguardi più ambiziosi grazie alla “memoria del successo”.

L’errore comune, rimarca invece il pedagogo, è quello, commesso da molti genitori e insegnanti, “di rimarcare più spesso l’errore rispetto alla buona riuscita, instillando l’idea che il successo è “normale” mentre lo sbaglio è “anormale”. Per di più sostenendo l’idea moralizzatrice che non è bello vantarsi e che bisogna sviluppare la modestia nei bambini. Invece il rifiuto di riconoscere i successi non aiuta né a crescere né a far radicare la fiducia in sé e l’autostima del piccolo”.

Con il rischio, una volta adulto, di sviluppare quella che gli psicologi chiamano “la sindrome dell’impostore”: tutti i propri fallimenti diventano normali, tutti i successi altrui anormali (poiché vengono imputati alla fortuna, all’azzardo, a un intervento esterno…).

Quindi, condensando, la prima regola per Hourst è quella di “ricordare al bambino i successi passati, che diventano il fondamento per quelli futuri”.


Combattere il senso di invisibilità

La “memoria del successo” è importante anche per sconfiggere il senso d’invisibilità che, se è drammatico già per un adulto (basta pensare agli effetti del mobbing), per un bambino è assolutamente devastante.

“In certe occasioni – spiega Hourst – siamo sicuri che potremmo partecipare o apportare il nostro contributo. Ma non esistiamo, nessuno si interessa a quello che potremmo dire, pensare, sentire o fare. È un sentimento comune a molti bambini, a casa o a scuola, allorché pensano (a torto o a ragione) di “non esistere”, di essere “invisibili” per i familiari e gli insegnanti.

In questi momenti è importante aiutarli, con mezzi positivi, a rendersi di nuovo “visibili” a se stessi e agli altri, perché questa “visibilità” psicologica è importante per sviluppare l’autostima e per prevenire comportamenti disturbati o distruttivi, come l’autoesclusione da un gruppo, la violenza su se stessi, sugli altri e sulle cose o l’adesione a gruppi di “cattivi ragazzi” in cerca di visibilità”.

Anche in questo caso, secondo il pedagogo, è utile la “memoria dei successi”: discutendone, si aiuta il bambino a tornare visibile. Ed è utile farlo in forma visibile, magari creando un “calendario dei successi”, o una “scatola dei successi”, che contengano l’indicazione di tutti i traguardi raggiunti.

Concetta Desando, giornalista professionista (tratto da “Nostro figlio”)

 

HOLDING: GLI ABBRACCI CHE CALMANO E GUARISCONO

Oggi vogliamo proporre un metodo efficace e utilizzato in ambito educativo, anche se ancora poco conosciuto dai genitori; stiamo parlando del metodo Holding

 

Di fronte a una crisi del bambino, gli adulti reagiscono nei modi più disparati: chi lo ignora, chi perde il controlla a sua volta e comincia a sbraitare, chi cerca di ragionare e chi utilizza un premio o una punizione come elemento esterno di distrazione.

Oggi vogliamo proporre un metodo efficace e utilizzato in ambito educativo, anche se ancora poco conosciuto dai genitori; stiamo parlando del metodo Holding. Questo metodo ricorre all’abbraccio, un gesto d’affetto universale, che diventa un contenitore per le emozioni del bambino.

Rispetto ad un normale abbraccio, l’abbraccio del metodo holding è un abbraccio contenitivo, che si applica in un momento di forte agitazione psicomotoria del bambino: ad esempio durante una crisi emotiva (rabbia incontrollata, pianti e urla). E’ un abbraccio forzato, inizialmente non corrisposto: sarà l’adulto a dover abbracciare con fermezza il bambino, contenendone le emozioni e lasciando che, attraverso la forza di quell’abbraccio, si possa ritrovare l’equilibrio.


Breve storia del metodo Holding

Inizialmente applicato a bambini affetti da disturbi dello spettro autistico o disturbi pervasivi dello sviluppo, il metodo si delinea negli anni ‘70 come una soluzione efficace ai momenti di alterazione emotiva dei bambini .

Marta Welch, psicoterapeuta che aveva iniziato la sperimentazione, trovò che la tecnica fosse efficace anche con i bambini normodotati e ne estese l’utilizzo anche ai capricci, ai momenti di rabbia e alle altre esternazioni emotive.

Ma qual è l’idea alla base del metodo? La dott. sa Welch si era accorta che, come i neonati hanno bisogno del contatto fisico con la madre, anche i bambini più grandi traevano beneficio da questo contatto, che li rassicurava e rasserenava. E così, provò a sperimentare un “abbraccio forzato” nelle situazioni in cui il bambino perde il controllo, con ottimi risultati.


Per chi vuole utilizzarlo

Come si fa? Il bambino deve essere avvolto dal nostro abbraccio, con dolcezza ma anche con grande fermezza. Se possibile, si dovrebbe guardare il bambino negli occhi. Questa tecnica, partendo dal contenimento fisico di una crisi, diventa un contenimento emotivo. Solitamente, dopo un momento iniziale, la tensione del bambino si scioglie e il nostro abbraccio viene ricambiato.


La principale difficoltà è quella di mantenere la calma e la fermezza del nostro abbraccio, nonostante i calci e gli strepiti dei bambini: infatti, prima che si calmino, potrebbe essere necessario qualche minuto.

Il vantaggio di questo metodo è lo speciale legame affettivo che si instaura con il bambino, che si sentirà compreso e accettato. Rispetto a un rimprovero, l’abbraccio contenitivo non farà sentire in colpa il bambino; al contrario, calmerà le sue paure e la frustrazione ad un livello emozionale, profondo.

L’abbraccio holding va bene con tutti i bambini? In linea di massima sì, però ogni piccolo è un caso a se: se ci dovessimo accorgere che il nostro abbraccio scatena il panico del bambino, sarà meglio ricorrere ad un’altra tecnica. Come sempre, quando si parla di educazione, solo la sensibilità del genitore/educatore può guidarci nella scelta del metodo migliore.

Il metodo è assolutamente sicuro: l’abbraccio, per quanto fermo, non rappresenta in alcun modo una forma di violenza per il bambino e non si corre il rischio di fargli del male; abbracciare, del resto, è il più naturale dei gesti di affetto. Se pensiamo di sperimentarlo in un contesto educativo, può essere utile parlarne prima con le famiglie o con il responsabile dei servizi, onde evitare fraintendimenti: è una tecnica efficace e scientificamente provata, ma spiegare prima che la useremo (e come) eviterà qualsiasi controversia.

Per approfondire questo metodo ti consigliamo la lettura del libro di Martha Welch: L’abbraccio che guarisce. La tecnica corporea dell’holding per eliminare capricci, gelosie, accessi d’ira dei bambini, Red! Edizioni. Non è più disponibile in commercio, ma potrai trovarlo facilmente in biblioteca.

Tratto da “Portale Bambini”

 

SVILUPPO DELL'AUTOSTIMA: COME INFLUISCE LA FAMIGLIA

Lo sviluppo dell’autostima è alimentato (in parte) dalle dinamiche familiari nelle quali siamo cresciuti e siamo stati educati.

 

È un lascito che ci portiamo dietro e talvolta difficile da sanare, soprattutto se abbiamo avuto dei genitori che non hanno mai amato se stessi e che non sono stati capaci di soddisfare i nostri bisogni, sostenerci o consolarci dal profondo del loro cuore.

Non mancano gli psicologi che dicono che per avere successo nella vita occorre avere il magazzino dell’autostima ben riempito. Che lo si voglia o meno, sono pochi i “combustibili” che ci danno tanta determinazione, autostima e senso di competenza. Tuttavia, e questo lo sappiamo bene, spesso viviamo la vita e ci muoviamo nel mondo con livelli di autostima molto bassi, talmente minuscoli che è quasi impossibile azionare il motore che ci fa superare noi stessi.

“Le persone cominciano ad avere successo il minuto in cui decidono di averlo”.
~ Harvey Mackay ~


Proprio come spiega la celebre antropologa culturale Margaret Mead, la famiglia è il primo gruppo sociale nel quale le interazioni che si verificano determinano in buona parte chi siamo. I nostri genitori hanno il dovere e l’obbligo di riempire il nostro magazzino di nutrienti adeguati, di ricche componenti dove non manchi la sicurezza, l’affetto, la considerazione e quell’impulso vitale capace di spingerci a camminare nel mondo sentendoci preziosi e importanti.

Tuttavia, nel duro cammino dello sviluppo della autostima, non contiamo sempre su detto combustibile. Questo ci spinge inevitabilmente a intraprendere un cammino di auto-ricerca e, soprattutto, di riparazione di questa infanzia nella quale ci sono mancate troppe cose.


Lo sviluppo dell’autostima e la sintonia con i nostri genitori

Lo sviluppo dell’autostima ha inizio nell’infanzia. Questo vuol dire forse che è determinato solo dalle esperienze previe accadute nella nostra infanzia e prima giovinezza? Bene, in psicologia, come in gran parte delle scienze, la parola “determinismo” è pericolosa e presenta delle sfumature profonde.

In materia psicologica, tutto quello che è successo nell’infanzia influisce molto su di noi, ma non ci determina. In altre parole, sappiamo che l’essere umano, e in particolare il cervello, è dotato di immensa plasticità e capacità di superamento. Questo ci obbliga ancora una volta a concentrarci sulla grande importanza dell’educazione che si riceve e sulla qualità delle interazioni con chi ci accudisce e fornisce non solo alimenti e sostentamento, ma anche un lascito emotivo ed educativo.
Per approfondire queste tematiche, è sempre interessante leggere il Dottor Ed. Tronick, esperto di sviluppo infantile e professore di pediatria alla Harvard University. Un dato interessante che ci rivela questo psicologo è che, per favorire un corretto sviluppo dell’autostima e fornire un buon sostegno ai bambini, è necessario essere emotivamente sintonizzati con loro. In molti dei suoi lavori, tuttavia, ha potuto dimostrare che il 40% delle volte persino i bravi genitori non riescono a entrare in sintonia con i propri figli.

Molto probabilmente questo dato ci sembrerà allarmante e persino drammatico. Tuttavia, il dottor Tronick ci invita a una riflessione. Il motivo per cui molti genitori non entrano in totale connessione con i bisogni emotivi dei propri figli è perché non lo fanno neanche con loro stessi.

Un genitore carico di stress, resistenze e nodi emotivi irrisolti invierà una serie di codici, schemi incoscienti e linguaggi al bambino, il quale li assorbirà per farli propri. Senza parlare, inoltre, della chiara difficoltà a erigere nei piccoli una buona autostima, se nei genitori stessi non vi sono solide fondamenta, radici profonde con le quali dare l’esempio, con le quali guidare con prontezza e sicurezza.


La famiglia influisce, ma decidiamo noi

Lo sviluppo dell’autostima nel corso dell’infanzia si vede influenzato soprattutto da tre fattori: l’aspetto fisico, il comportamento e il rendimento accademico. Il modo in cui i nostri genitori si pongono verso queste tre dimensioni può incoraggiarci ad accrescere la nostra sicurezza e fiducia o, al contrario, può collocarci nella conchiglia dell’impotenza, della solitudine e della paura.

“La peggior solitudine è non essere a proprio agio con te stesso”,
~ Mark Twain ~


L’aspetto più complesso è che, ai giorni d’oggi, continuiamo a vedere molti genitori immaturi e inconsapevoli in termini di attenzione nei confronti del proprio linguaggio e modo di comunicare. È sufficiente ascoltare le loro conversazioni davanti alla soglia delle scuole per captare quanto, senza rendersene conto, strappino una dopo l’altra le ali dell’autostima dei loro figli.

L’uso di paragoni, di affermazioni assolute (sei negato in matematica, non sarai mai promosso…) o l’incapacità di vedere problemi emotivi nascosti si verificano spesso e inducono le nuove generazioni a commettere lo stesso problema dei loro genitori: la mancanza di autostima.

La famiglia influisce sullo sviluppo dell’autostima di una persona, lo sappiamo, ma quanto successo in passato non ha alcun motivo di determinare tutta la vita. Sta a noi smettere di farci del male, perché non abbiamo il combustibile pieno di forza personale. Nel nostro orizzonte c’è la possibilità di riparare un’infanzia di mancanze per raggiungere la giusta maturità.

È necessario imparare a bastare a noi stessi, a compensarci da soli, a smettere di cercare all’esterno ciò che possiamo e dobbiamo essere in grado di offrirci in prima persona. Sull’autostima si lavora giorno dopo giorno, richiede dei cambiamenti, ci chiede di essere coraggiosi e, prima di ogni altra cosa, di avere una grande dose di amor proprio. In qualsiasi modo si sia svolto il nostro passato, siamo sempre in tempo ad apportare dei cambiamenti, a investire sulla nostra autostima.

Tratto da “La mente è meravigliosa”