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PERCHÉ DICIAMO “STO BENE” QUANDO IN REALTÀ NON È COSÌ

Sto bene. Due parole dolci, rassicuranti e sintetiche. Le pronunciamo spesso ma altrettanto spesso questa formula è del tutto falsa.

 

In tono colloquiale, un “sto bene” detto per liquidare l’altro può starci. Il problema insorge quando quel “Sto bene” diventa un mantra e lo ripetiamo anche a noi stesse e ai nostri affetti più intimi finendo per attuare un sistematico evitamento emozionale. Quel “Sto Bene” arriva a celare tanta sofferenza, a camuffarla e addirittura a negarla.

Fingere che tutto stia andando al meglio

Quando affermi “Va tutto bene” ma dentro di te senti emozioni tumultuose difficili da interpretare, stai negando a te stessa i tuoi veri sentimenti, ti stai deprivando di un’esperienza emotiva significativa.

Dietro a un “Sto bene” si nasconde un ciclone emotivo:


  • emozioni difficili,
  • conflitti,
  • dubbi e paure,
  • vissuti mai elaborati,
  • vergogna,
  • sensi di colpa,
  • sensazione di non essere abbastanza,
  • senso di vuoto emotivo,
  • umore depresso,
  • convinzione di essere incompreso,
  • verità mai accettate e
  • tanta, tanta, inquietudine.

Nel rapportarci agli altri, vogliamo che tutti pensino che la nostra vita funziona bene, che noi “funzioniamo bene”, che siamo capaci, forti… Desideriamo dare un’immagine integra quando in realtà dentro di noi siamo a pezzi. Tra un “sto bene” e l’altro, dentro di noi si sta svolgendo una lotta e la nostra vita a tratti sembra ingestibile. La corazza che mostriamo agli altri è l’incarnazione del nostro evitamento, ci evita ogni confronto e soprattutto ci evita di dover affrontare i nostri demoni interiori (quei conflitti irrisolti che hanno ancestrali radici).

In questa configurazione volgiamo l’attenzione su ciò che è fuori da noi e non su ciò che abbiamo dentro. Le strategie che mettiamo in atto sono molteplici: c’è chi si prodiga per il prossimo, cercando di risolvere i problemi degli altri piuttosto che dover affrontare i propri. C’è chi diventa ipercritico e sfoga le proprie frustrazioni sulle mancanze degli altri, così da non dover guardare le mancanze che si porta dentro. Molte persone si trasformano in autentiche crocerossine e prodigandosi per la salvezza dell’altro cercano il realtà la propria di salvezza. Gli scenari sono molteplici e tutti hanno lo stesso minimo comune denominatore: il rifiuto di districare il caos che c’è dentro di sé.


QUEL “STO BENE” PER NON DELUDERE

Le radici di quel “sto bene” sono molto profonde: impariamo a negare i nostri malesseri per non essere di peso all’altro importante. Tutto è riconducibile ai modelli genitoriali che abbiamo avuto e al loro rapporto con le emozioni che esperivamo quando eravamo bambini.

Un genitore responsivo, fin dalla nascita del proprio figlio, funge da facilitatore emotivo e riesce a operare un “contenimento emotivo” quando il bambino ancora non sa gestire le proprie emozioni. In questo contesto, il bambino introietta una rappresentazione interna della persona che fornisce cure come stabile, accudente e funzionale.

Un genitore non responsivo che ammonisce le reazioni emotive e non è in grado di sintonizzarsi con i bisogni di sostegno e protezione del bambino, non consente di introiettare una rappresentazione interna della persona che fornisce cure.

Per rendere più comprensibile quanto scritto, fornirò degli esempi pratici delle più diffuse invalidazioni emotive che ingenuamente i genitori attuano nei confronti del figlio.

  • “Non piangere sennò fai preoccupare la mamma”
  • “I bambini buoni non fanno capricci”
  • “Se tu piangi la mamma sta tanto male”
  • Rispondere ai capricci del figlio con urla aggressive ancora più forti
  • Rispondere alla collera con altra collera
  • “Devi essere un bambino buono sennò la mamma soffre”
  • “I bambini stupidi piangono”
  • “Vedi Michele come è buono, lui non piange”
  • “Stai piangendo per una sciocchezza”
  • Risposte di ansia eccessiva a una problematica emotiva/fisica del bambino
  • Allarmismi eccessivi a ogni reazione fisica/emotiva del piccolo

Le reazioni dei genitori ai malesseri dei bambini sono la prima esperienza di cura che facciamo. E’ da qui che impariamo come prenderci cura di noi, quanto possiamo contare sull’altro in caso di un nostro malessere… è da qui che impariamo quanto possiamo esprimere le nostre emozioni.

Se le uniche emozioni approvate dai nostri genitori erano quelle di gioia, impariamo che soffrire è sbagliato e che quando si soffre, meglio tenersi la cosa per sé tanto ogni manifestazione è inutile se non controproducente.

Ecco perché da adulti ci sembra più facile evitare sistematicamente i sentimenti difficili e covare tutto dentro. Nessuno ci ha insegnato a gestire la nostra “carica emotiva” in modo funzionale. Così, anno dopo anno, abbiamo accumulato un gran numero di conflitti senza mai dare alle “emozioni negative” un preciso significato, un’ideale collocazione.

Abbiamo imparato a tacere la sofferenza per non deludere le aspettative dell’altro o per non essere sopraffatti da un ulteriore carico. Abbiamo capito che possiamo contare solo sulle nostre forze perché nella nostra memoria non abbiamo interiorizzato l’immagine di un care-giver accudente.

Ecco una notizia: ciò che hai imparato da bambino, oggi, non è più vero! 🙂

DARE SIGNIFICATO ALLA SOFFERENZA

La mancata espressione delle emozioni negative, a lungo andare, può essere devastante. Se hai negato i tuoi sentimenti e le tue emozioni per molti anni, mettere a fuoco ciò che ti porti dentro non sarà facile. Se vuoi avvicinarti a un autentico “sto bene” puoi partire proprio dai tuoi bisogni insoddisfatti. Un percorso psicoterapeutico potrà aiutarti e mentre maturi l’idea di consultare uno psicologo, puoi iniziare dalle emozioni che vivi su base quotidiana.

Se dai significato alla sofferenza e ai tuoi disagi, ti sarà più semplice elaborarli. Ricorda che tutto ciò che hai imparato durante l’infanzia, oggi non ha più un grande significato: i sentimenti che provi non fanno di te una persona “buona” o “cattiva”. Hai il diritto di soffrire e, invece di tentare di cambiare il modo in cui ti senti, sii benevola con te stessa, accetta i tuoi vissuti emotivi e cerca di essere “curiosa” nell’esplorare cosa stanno cercando di dirti.

A qualsiasi età puoi imparare a prenderti cura di te e della tua sfera emotiva. Uno psicologo è la persona ideale con la quale confrontarsi ma puoi fare molto anche fuori dal setting professionale. Per esempio, identifica una persona sicura e affidabile con la quale poter essere più autentica, con la quale condividere dubbi e incertezze senza temere alcun giudizio.

Anna De Simone – Psicologa e psicoterapeuta
4 Luglio 2020
www.psicoadvisor.com

 

FALSI MITI SUL DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ

È normale per i bambini dimenticare occasionalmente di fare i compiti, sognare ad occhi aperti mentre in classe il professore spiega, agire senza pensare o essere irrequieti a tavola mentre si mangia, ma inattenzione, impulsività, e iperattività sono la triade sintomatologica dell’ADHD, ovvero il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività.

 

QUANDO È DAVVERO IL CASO DI PREOCCUPARSI?

L’ADHD è un disturbo neuropsicologico comune che, solitamente, ha esordio nella prima infanzia, prima dei sette anni.


L’ ADHD rende difficoltoso ai bambini inibire le loro risposte spontanee — risposte che possono essere intese come uno spettro ampio di comportamenti, dal movimento alla parola, all’attenzione. Tutti noi conosciamo bambini che fanno fatica a rimanere seduti, che sembrano non ascoltarci mai, che non seguono le indicazioni che diamo loro (non importa con
quanta attenzione, cura e chiarezza gliele abbiamo fornite), o che commentano in modo inappropriato certe situazioni e certe circostanze. A volte questi bambini vengono chiamati “combinaguai” o criticati per essere indisciplinati e pigri. La domanda che sorge spontanea a questo punto è: “ é il normale comportamento da bambini o è ADHD?”.


Potrebbe essere difficile distinguere fra un bambino un po’ vivace ed i segnali dell’ADHD se non li si conosce a fondo.
Se notiamo soltanto qualche comportamento fra questi che si presenta solo in alcune situazioni, probabilmente non si tratta di ADHD. Se, invece, il tuo bambino mostra gran parte dei segnali tipici dell’ADHD e questi sono presenti in ogni ambito della sua vita — a casa, a scuola, e nel tempo libero — sarebbe il caso di approfondire di piú la questione con uno specialista.


La vita con un bambino ADHD può essere frustrante e spesso i genitori riportano vissuti di impotenza e, a volte, di disperazione. Tuttavia, la buona notizia è che come genitore c’è molto che puoi fare per aiutare il tuo bambino a tenere sotto controllo i sintomi, vincere le piccole grandi sfide quotidiane e apportare calma e benessere alla tua famiglia.
Il primo step è conoscere l’ADHD. Infatti aleggiano troppi falsi miti su questo disturbo.


VEDIAMO DI SFATARNE ALCUNI: FALSI MITI SULL’ADHD

Mito: Tutti i bambini con ADHD sono iperattivi.
Falso: Alcuni bambini con ADHD sono iperattivi, ma molti altri che hanno una prevalenza del disturbo di tipo inattentivo, non lo sono. Infatti, i bambini a prevalenza inattentiva non solo non appaiono attivi, ma al contrario possono apparire con la testa fra le nuvole o demotivati.

Mito: I bambini con ADHD non possono mai prestare attenzione a qualcosa.
Falso: Spesso i bambini con ADHD riescono a prestare attenzione alle attività che per loro sono piacevoli. Tuttavia, non importa quanto faticosamente ci provino, hanno molta difficoltà a mantenere la concentrazione quando il compito è per loro noioso o ripetitivo.

Mito: I bambini con ADHD possono comportarsi meglio se si impegnano.
Falso: I bambini con ADHD possono dare il meglio di loro, ma avranno sempre molte difficoltà a stare seduti fermi, stare tranquilli, o prestare attenzione. Possono apparire disobbedienti, ma ciò non significa che lo stiano facendo di proposito.

Mito: Crescendo passerà.
Falso: L’ADHD spesso continua anche in età adulta, i sintomi di iperattività si attenuano molto, mentre la disattenzione permane. Quindi non aspettarti dal tuo bambino che prima o poi ne uscirà da solo. La terapia aiuterà il tuo bambino ad imparare a conoscere, gestire e minimizzare i sintomi.

Mito: I farmaci sono il miglior trattamento per l’ADHD.
Falso: I farmaci sono spesso prescritti per il deficit di attenzione e iperattività, ma non sempre sono necessari e non sempre sono l’opzione migliore. È importante valutare l’adozione del farmaco con il tuo Neuropsichiatra Infantile di riferimento, ma sappi che il trattamento piú efficace per l’ADHD è quello integrato. Cioè quello che include la terapia psicologica, il supporto scolastico, l’educatore domiciliare (ove necessario) ed il potenziamento delle funzioni neuropsicologiche.

È importante sapere che è possibile un significativo miglioramento della sintomatologia se specialisti, famiglia e scuola collaborano in sinergia per il benessere del bambino. Per alleviare il peso dei genitori potrebbero rivelarsi utili percorsi di sostegno alla genitorialità con uno psicologo o dei percorsi parent training che aiutano a gestire i momenti del disturbo in acuto in casa.

Dott.ssa Chiara Cucinotta – Psicologa
www.mammeamille.it

30 INDOVINELLI PER BAMBINI SULL’ESTATE

Bambini annoiati? Ecco qualche giochino per insegnargli qualcosa sull’estate, sul mare e sugli animali, mettendo alla prova le loro capacità logiche. Provateci con questi indovinelli!

 

L’estate è la stagione preferita dai bambini, ma qualche volta i genitori sono troppo impegnati e i nonni non sempre riescono a organizzare giochi divertenti per i bambini; ecco perché oggi vogliamo insegnarmi qualche indovinello simpatico per intrattenerli, ma anche per spiegargli qualcosa di più su una delle stagioni più belle dell’anno. Dunque ecco 30 indovinelli, un’occasione per mettere alla prova anche le vostre abilità. Cosa aspettate? Provate a giocare insieme ai piccoli cercando una risposta a questi piccoli e divertenti aneddoti!

INDOVINELLI ESTIVI SUGLI ANIMALI

• Fra l’erbetta e in mezzo ai fiori, sto nel vivo e salto fuori. Verde piccola, non bella, son del rospo la sorella. Faccio un verso: cra, cra, cra: il mio nome chi lo sa? – La rana.
• Il mio sguardo è cattivo e se sento del sangue in acqua mi attivo. Mi chiamano anche pescecane, ma fuori dal mare non posso stare. Chi sono? – Lo squalo.
• Sempre in moto, affaccendate, di gran pesi caricate, trasportiamo granellini, instancabili, piccine siam le nere – Le formichine.
• Ho le ali e non sono uccello e nemmeno un aeroplano. Mi rincorrono i bambini per i prati e nei giardini, le mie ali sembrano fiori dai più vividi colori. Chi sono? – La farfalla.
• Ha la vita appena a un filo. Che animale è? – Il ragno
• Ho una veste verdolina, dello stagno son regina; è noioso il mio cantare, indovina indovinare. Chi sono? – La rana.
• Non è un re ma ha una corona, non ha orologio ma le suona. Chi è? – Il gallo.
• Chi è che quando piove non si preoccupa, quando tira vento è già al coperto e quando grandina gioca a bocce? – Il pesce.
• Sto sui fiori o in mezzo al prato, con un vestito rosso e di nero puntinato, son rotonda e tanto bella e mi chiamano? – Coccinella.
• Sono l’animale che resto fuori dall’Arca di Noè. Chi sono? – Il pesce.
• In aria volo, ma non sono i vermi il mio cibo preferito. Se piove mi ritiro, però l’acqua mi piace da impazzire, e da lei mi nutro. Chi sono? – Il gabbiano.
• Tra gli scogli son marine, in cima ai monti sono alpine. Ce n’è una che è polare ma la vedi anche dal mare. Con le nubi ce ne andiamo, indovina un po’, chi siamo? – Le stelle.
• Sono piccola, ma snella, vado a cavallo senza sella. Passo il mare senza nave, entro in casa senza chiave, se ti pungo faccio male. Chi sono? – La zanzara.
• Son simpatico e carino, dentro nel cuore resto sempre un bambino. In acqua salto e faccio piroette, almeno finché non sono le sette. Chi sono? Il delfino.
• Qual è la stella che non risplende? – La stella marina.
• Perchè un fenicottero solleva solo una gamba? – Perchè se le solleva tutt’e due cade.
• Sto sul grano e sopra un fosso non mi brucio ma il fuoco indosso. Chi sono? – La lucciola.

INDOVINELLI SUL MARE

Insegniamo a bambini qualcosa sul mare attraverso questi indovinelli divertenti sull’estate che metteranno alla prova anche voi adulti.

• Sull’acqua del mare galleggio e quando il vento soffia veleggio. Cosa sono? La Barca.
• E’ qualcosa che in mare cresce, ma non è né pianta né pesce. Che cos’è? – Il corallo.
• Cerco la terra e mi tuffo nel mare: ci crederesti? Non so nuotare. Cosa sono? L’ancora.
• Cresco insieme alla tempesta, e con il vento verso riva vado, solo la spiaggia mi arresta. Cosa sono? – L’onda.
• Su di me le persone salgono, e sull’acqua volano quando il vento forte soffia. Sono piatta e ho uno spuntone sulla coda. Cosa sono? – La tavola da surf.
• Cerco la terra e mi tuffo in mare ma poi vado a fondo perché non so nuotare. Chi sono? – L’ancora.
• Rinfrescante e trasparente sono una cosa che mai dorme e mai riposa. Chi sono? – L’acqua del fiume.

INDOVINELLI SULL’ESTATE

• Passa attraverso i vetri della finestra senza romperli. Che cos’è? – Il raggio di luce.
• Viene una sola volta al giorno e sempre quando sorge il sole. Che cos’è? – L’alba.
• Se non ci sono venti nel mare, non riesce a spiegarsi. Che cos’è? – La vela.
• Ci son quattro sorelle che non si possono vedere e quando una viene l’altra va via. Cosa sono? – Le stagioni.
• Sono sempre fermo e non mi muovo mai, ma se inizio a fumare faccio tanti guai. – Il vulcano
• Sono una casa con 12 porte, ogni porta ha 30 serrature e ogni serratura ha 24 chiavi. – L’anno, con i mesi, i giorni e le ore.

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IL COVID-19: I TUOI BAMBINI STANNO BENE DOVE SONO?

Il lavoro degli psicologi con i genitori è sempre più caratterizzato da preoccupazioni sull’effetto della quarantena sui bambini. Una riflessione su come il COVID-19 ha influenzato la vita dei nostri figli secondo la Dr.ssa Chiara Cucinotta.

 

Il lavoro degli psicologi con i genitori è sempre più caratterizzato da preoccupazioni sull’effetto della quarantena sui loro figli.
Preoccupazioni legittime e comprensibili.
Tuttavia, il primo dato, di natura più tecnica, è che i bambini hanno una capacità di adattamento di gran lunga migliore rispetto agli adulti.
Hanno strumenti che noi neanche immaginiamo a loro disposizione.
Il secondo dato, di natura più emotiva, ha a che fare con la tendenza dei genitori di non sentirsi mai abbastanza.
Di interpretare ogni emozione negativa del figlio come un loro fallimento come genitori.
Pensateci bene, avete reso la vostra casa un luogo confortevole per lui.
Vostro figlio sta bene a casa, dove deve rimanere per questo periodo così lungo?
Ha i suoi spazi, le sue cose, i suoi giochi? È un luogo accogliente per lui? Ha un abbraccio che lo aspetta la mattina insieme alla colazione?
Ed il bacio della buonanotte?
Se la risposta a tutto questo è sì, non ti mortificare, genitore.
Sei un buon genitore per tuo figlio.
Hai reso la casa il suo posto sicuro.
E se ogni tanto vedi un’ombra di tristezza o di irritazione sul suo volto non è necessariamente colpa tua. È una situazione difficile anche per lui.
Basta semplicemente esserci.
Essere genitori è il lavoro più affascinante e difficile del mondo.

Dott.ssa Chiara Cucinotta, Il Covid-19: i tuoi bambini stanno bene dove sono?, neuropsicologiaevolutivablog.wordpress.com

 

LE FRASI PIU' FORMATIVE DEL "PICCOLO PRINCIPE"

Nel libro “Il Piccolo Principe” emerge un’importante riflessione sulla relazione adulto-bambino. A seguire abbiamo raccolto le frasi più formative e significative sul tema presenti nel libro.

 

  • I grandi non capiscono mai niente da soli, ed è faticoso, per i bambini, star sempre lì a dargli delle spiegazioni.
  • Se qualcuno ama un fiore, di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda.
  • Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.
  • Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare. Tutti i grandi sono stati piccoli, ma pochi di essi se ne ricordano.
  • È il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante.
  • Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore.
  • In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…
  • La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica.
  • Gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare con il cuore.

Antoine De Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, 6 Aprile 1943

 

IL DIRITTO DEI BAMBINI A NON ESSERE LA NOSTRA UNICA RAGIONE DI VITA

Imparare a prendersi cura di se’ è fondamentale non solo dal punto di vista della sopravvivenza pura, ma soprattutto per la nostra auto-stima. Una ricerca dell’educatrice Manuela Griso sul diritto dei bambini a non essere la nostra unica ragione di vita.

 

Imparare a prendersi cura di se’ è fondamentale non solo dal punto di vista della sopravvivenza pura, ma soprattutto per la nostra auto-stima. La stima di se’ porta a considerarci PERSONE prima di interpretare qualunque altro ruolo e ci permette di pensare e agire per il nostro benessere non solo fisico, ma anche psichico.

Fin da piccoli ci insegnano l’importanza della condivisione, della generosità, dell’altruismo, alle volte anche minando il nostro IO con frasi come: “se non glielo dai allora sei un bambino cattivo” oppure “se non glielo presti allora non ti voglio più bene” e potrei continuare così per molto tempo. Perché di minacce e frasi ad effetto noi adulti ne siamo pieni.

Nessuno ci insegna che quello che noi desideriamo, quello che ci piace fare, quello in cui siamo “bravi”, è da proteggere. Nessuno ci dice che non bisogna vivere compiacendo gli altri. Perché questo tipo di vita è votato alla sofferenza. Nostra e di chi ci sta vicino.

Quando si diventa genitori, il nostro mondo subisce un grande scossone. Tutti i nostri sogni e le nostre aspettative vengono gettati su di lui come un uragano di pensieri. Fin da subito abbiamo in mente per lui il piano perfetto affinché viva una vita piena e soddisfacente. Questo avviene per amore. Un amore infinito e talmente forte, che difficilmente si riesce a comandare.

Abbiamo l’idea che l’amore sia protezione, ma tendiamo a voler proteggere anche da un disegno diverso da quello che noi abbiamo pensato per lui, a pensare di sapere quale sia il meglio per nostro figlio, senza accorgerci che la risposta ce l’ha solo lui. Ci sembra che nulla abbia più un senso se non quell’esserino che ci è stato donato. Ma se i bambini imparano attraverso l’esempio e l’esperienza, cosa impareranno se ci vedranno rinunciare alle nostre passioni, ai nostri hobby, a ciò che amiamo fare, in nome loro? Si convinceranno che senza di loro non potremo sopravvivere e li cattureremo in una trappola mortale.

Dobbiamo allora ricordare il nostro piano per noi stessi. Ognuno di noi deve seguire il suo disegno, la sua via, senza farsi influenzare dagli altri e colui che ci riuscirà sarà quell’esempio sano da seguire. Ricordarci di essere solo ciò che ci fa stare bene è un compito fondamentale per vivere appieno la nostra esistenza, conservando il diritto di vivere per noi e non per gli altri. Solo così potremo essere felici.

Quando un bambino nasce, il suo mondo sono la mamma e il papà. Ha gli occhi puntati su di noi e assorbe ogni nostro pensiero e azione. Anche ciò che è per noi inconsapevole. Loro vedono in noi la strada da seguire. Crescendo, se la nostra vita si è fermata per loro, si farà forte l’idea che non possono deluderci perché ci ucciderebbero. Non possono essere ciò che vogliono essere, ma solo ciò che noi vorremmo da loro. O ciò che loro pensano che noi vorremmo. Le due cose spesso non coincidono, ma non ce ne renderemo conto per molto moltissimo tempo e bisogna sempre passare da una dose alta di sofferenza. Adulti che non sono in grado di dire di no, anche quando quel no è necessario per la loro serenità, che non sono in grado di mettere loro stessi davanti agli altri per paura di essere definiti egoisti, menefreghisti; per paura di deludere. Adulti che per imparare a conoscersi e ad amarsi sono costretti a perdersi del tutto.

Spezziamo questa catena. Lasciamo che i figli siano PERSONE. Insegniamo loro a non interpretare un ruolo, ma ad essere semplicemente liberi di essere ciò che sentono. Insegniamo loro che quando si sdraiano nel letto la sera sono da soli con loro stessi e la sensazione che è bello sentire è quella di essere contenti di sè. Anche se nessuno te lo dice. Perché non devi essere “Bravo”, devi essere “Felice”. E puoi esserlo solo seguendo la tua indole. Ciò che il cuore ti dice.

I bambini sono fortemente influenzabili dagli adulti di riferimento. Dapprima essi sono i genitori, che offrono al bambino un metro di giudizio del se’. Poi la cerchia si allarga e gli insegnanti hanno un altro ruolo fondamentale. Spesso i bambini, per compiacerli, attuano atteggiamenti che non sono propri, ma che sperano vengano accettati dal maestro. A poco a poco il bambino perderà se stesso, perché non sarà più in grado di sentire la sua vera essenza. Imparerà a vivere sulla soglia dell’allert continuo e perderà la sua serenità. A tal proposito comprenderemo come sia necessario che i bambini si sentano liberi di essere loro stessi anche nel contesto scolastico e non solo in famiglia.

Le situazioni della vita poi sono molteplici e una di quelle situazioni che rischia di sfuggirci di mano e di far sì che i nostri bambini si sentano vulnerabili, inutili e sviluppino il senso di colpa per la nostra infelicità, è la separazione. Spesso con un evento così traumatico il genitore può vivere un momento di apatia, di tristezza, di grande smarrimento. Il pericolo che si attacchi al bambino e che inizi a considerarlo la sua unica ragione di vita, è reale. Ci si lascia trascinare dalla routine quotidiana, lasciando scorrere le giornate senza gioia. Ci si convince che la propria vita abbia senso solo grazie al proprio bambino e si finisce con il riversare su di lui tutta la nostra esistenza. Questo è pericolosissimo.

I bambini hanno diritto a genitori che amano loro stessi, che si prendono cura di sè, che vivono la loro vita. Hanno diritto di non essere investiti del peso di una responsabilità così grande, come quella di tenere in vita il proprio genitore solo con la loro stessa esistenza. Quest’arma che il genitore inconsapevolmente scaglia sul proprio bambino, porterà il bambino a sentirsi sempre inadeguato, rigido, ansioso e impaurito. Avrà sempre paura che un suo gesto, una sua scelta, possa portare il genitore alla morte. Negli eventi traumatici della nostra vita dobbiamo sempre ricordare che amare non significa incatenare, ma liberare. Liberiamo i nostri bambini dal timore di essere la nostra sola ragione di vita, così facendo saremo l’esempio da seguire e riscopriremo anche noi la bellezza di vivere secondo il nostro disegno.

Manuela Griso,
eticamente.net