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3 MODI PER DISTRUGGERE L'AUTOSTIMA DI UN BAMBINO

Ogni genitore desidera che il proprio figlio cresca sicuro di sé e capace di affrontare qualunque situazione della vita. Ma a volte, senza volerlo, un adulto ottiene l’effetto contrario perché con le parole o il comportamento, contribuisce a distruggere l’autostima del bambino.

 

I bambini hanno bisogno di essere sostenuti e incoraggiati dai genitori in tutto quello che fanno. Per un adulto potrebbe sembrare una sciocchezza, ma per un bambino è una questione molto seria. Un incoraggiamento, un aiuto a fare le cose meglio e tanto amore sono tutto ciò che un bambino necessita.

In alcune circostanze un genitore può dire o fare inavvertitamente qualcosa che fa sentire il bambino poco apprezzato. Oppure, peggio ancora, che danneggi seriamente la sua autostima. Ecco alcuni errori che commettiamo nei confronti dei nostri figli; esserne coscienti ci aiuta a non ripeterli più.

Fare troppe cose al posto del bambino.

Vostro figlio vuole fare i compiti a casa da solo; se, invece, li “fate voi al posto suo”, penserà che non sia necessario farli o che non siano di sua competenza. In questo modo smetterà di farli volentieri. Quando i bambini riescono a portare a termine un compito ne ricavano grande soddisfazione e si sentono a posto con sé stessi.

Che cosa succede quando fate troppe cose per conto del vostro bambino?
Fare le cose al posto del bambino può essere il vostro modo per dimostrare affetto ma, in realtà, non gli state facendo un favore. In questo modo negate al bambino l’opportunità di acquisire le competenze necessarie per la vita, danneggiandolo quando sarà adulto. Inoltre, si crea in lui eccessiva dipendenza e lo si priva della soddisfazione di ottenere le cose da solo. In definitiva, aiutare troppo vostro figlio gli darà la convinzione di non essere capace di raggiungere i suoi obiettivi.

Come risolvere questo problema.
Non fate troppo per i vostri bambini, ma aiutateli a cavarsela da soli. Se sbagliano niente paura: avranno la possibilità di ripetere e di imparare dai propri errori … e l’autostima sarà rafforzata.

Di fronte alle difficoltà dire: è facile!

Quando vostro figlio si sta sforzando per ottenere qualcosa, anche se si tratta solo dei compiti a casa, potrebbe essere molto facile per voi, ma difficile per vostro figlio.

Cosa succede quando dite al bambino: è facile.
Parole come: “È facile, ce la fai benissimo”, vengono pronunciate con l’intenzione di motivare e incoraggiare il bambino. In realtà, potrebbero indurre vostro figlio a pensare di avere in sé qualcosa che non va: “Se per me è difficile e per la mamma è facile, forse è perché sono stupido io”.. Questo porta il bambino a scoraggiarsi e a gettare subito la spugna. Ecco come abbiamo colpito la sua autostima senza rendercene conto.

Come comportarsi.
Invece di incoraggiarlo dicendo che è facile, provate con: “Potrebbe essere un po’ difficile” oppure “Anche io, alla tua età, lo trovavo difficile, ma con un po’ di impegno si possono ottenere buoni risultati”. In questo modo, il bambino che si trova di fronte ad una difficoltà capirà che, per quanto all’inizio possa essere difficile, impegnandosi a fondo ce la può fare. Questo è un messaggio motivante, che rafforza la sua autostima.

Non lasciarlo sbagliare.

Gli errori fanno parte della vita e tutti dobbiamo imparare da essi, adulti e bambini. Potreste pensare che sia un dovere aiutare vostro figlio a non commettere errori. Questo atteggiamento lo renderà indifeso di fronte alla vita e la sua autostima ne uscirà notevolmente compromessa.

Cosa succede quando non consentite a vostro figlio di sbagliare?
Se il bambino non può permettersi di sbagliare o viene iperprotetto, non si saprà “sbrogliare” nella vita adulta. Diventerà una persona dipendente con una cattiva opinione di sé. Sarà portato a pensare che commettere un errore è male, perché ne ha un’esperienza dolorosa. Non dovete negare a vostro figlio la possibilità di imparare dai propri errori, di ammettere di aver sbagliato e di avere la soddisfazione di sapervi porre rimedio.

Come aiutare vostro figlio.
Non impeditegli di sbagliare, aiutatelo invece a fare le cose nel miglior modo possibile e ad essere responsabile delle proprie azioni. Solo così avrà una visione sana degli errori e si renderà conto di quanto possano essere utili nella vita.

Autore “Siamo mamme”.

I BAMBINI HANNO BISOGNO DI PIÙ NATURA E MENO TECNOLOGIA

Le cose che il bambino ama rimangono nel regno del cuore fino alla vecchiaia. La cosa più bella della vita è che la nostra anima rimanga ad aleggiare nei luoghi dove una volta giocavamo. Khalil Gibran

 

Un tempo l’ambiente naturale ci circondava, ci nutriva, con i suoi ritmi ci guidava, con le sue leggi ci insegnava. Gli adulti erano più tranquilli e lasciavano molta libertà ai bambini che potevano correre e giocare liberi per boschi. I bambini si riunivano naturalmente in gruppi misti di diverse età, i più grandi si prendevano cura dei più piccoli e i piccoli imitavano e imparavano dai grandi.

Il contatto con l’ambiente naturale era garantito perché l’ambiente naturale coincideva con l’ambiente di vita.


Gli effetti dell’ambiente naturale sul bambino

I bambini hanno un gran bisogno di muoversi, meglio se in un ambiente ricco di stimoli e sfide. La natura, infatti, accresce le nostre capacità sensoriali, che sono il primo e più importante strumento di autodifesa. Se i nostri figli vivono a stretto contatto con la natura, imparando a vedere il mondo direttamente, avranno maggiori possibilità di sviluppare le capacità psicologiche di sopravvivenza che li aiuteranno ad individuare il vero pericolo, sarà di conseguenza meno probabile che vedano pericoli dove non ci sono.


Giocare nella natura può infondere un’istintiva fiducia in sé stessi.

Studiando esperienze negative come lo stress o il deficit di attenzione, si è visto come l’ambiente naturale, rispetto all’ambiente costruito, produce un maggior numero di cambiamenti psicologici nei confronti del rilassamento, ad esempio quello muscolare o della diminuzione della pressione sanguigna, ed una grande riduzione di sensazioni negative quali la paura, la rabbia, la tristezza. L’ambiente naturale garantisce una maggiore efficacia nel mantenimento dell’attenzione e più alti livelli di esperienze di benessere, interpretato quest’ultimo come sensazione di fascino, di abbandono, di sentirsi in armonia, di sentirsi un tutt’uno. Molti bambini sembrano trarre beneficio dallo stare all’aperto. Non solo lo stare all’aperto è piacevole, ma la ricchezza e la novità delle sensazioni stimolano lo sviluppo delle funzioni cerebrali. La conoscenza è radicata nella percezione e lo stare a contatto con la natura è la prima fonte di percezione.

Un altro beneficio a lungo termine è che il bambino, se messo in condizione di godere di numerose esperienze positive all’aperto, con la guida di idonei modelli di comportamento, può imparare ad avere cura dell’ambiente.

I bambini sono fiori da non mettere nel vaso:
crescono meglio stando fuori con la luce in pieno campo.
Con il sole sulla fronte e i capelli ventilati:
i bambini sono fiori da far crescere nei prati.
Roberto Piumini



L’allontanamento dalla natura: cosa provoca.

Il numero degli statunitensi adulti in soprappeso è cresciuto di più del 60% tra il 1991 e il 2000. Fra il 1989 e il 1999 si è verificato un incremento pari al 36% dei casi di soprappeso nella fascia di età compresa fra i 2 e i 5 anni. E due giovani americani su dieci sono obesi. Questo valore si è quadruplicato alla fine degli anni Sessanta. Negli Stati Uniti i ragazzi tra i sei e gli undici anni trascorrono più di quaranta ore alla settimana davanti alla televisione o al computer. Il tempo trascorso guardando i programmi televisivi è direttamente correlato ai livelli di grasso corporeo. Le malattie cardiache e gli altri effetti negativi dell’inattività dei giovani si manifestano solitamente dopo diversi decenni. Si è però notato che la mancanza di movimento produce un altro risultato, questa volta immediatamente documentabile, ovvero la depressione dei bambini.


Un’infanzia sedentaria condotta tra le quattro mura domestiche comporta problemi mentali.

Quasi otto milioni di bambini statunitensi soffrono di disturbi mentali e l’ADHD è uno dei più diffusi. I ragazzi affetti da questa sindrome sono irrequieti ed hanno difficoltà nel prestare attenzione, nell’ascoltare, nel seguire indicazioni e nel concentrarsi sui compiti loro affidati. I pazienti potrebbero essere aggressivi o addirittura antisociali e potrebbero avere problemi in ambito scolastico. Nuovi studi suggeriscono che il contatto con la natura può ridurre i sintomi del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e può migliorare le capacità cognitive e la resistenza agli stress negativi e alla depressione nei bambini.
Richard Louv, educatore americano, ha fondato il sito internet per la tutela dell’infanzia “Connect for Kids” e pubblicato il libro “L’ultimo Bambino nei Boschi” che vi invito a leggere riguardante il rapporto tra bambini e natura.
I bambini vivono attraverso i sensi. Le esperienze sensoriali collegano il mondo esterno a quello interiore, nascosto e affettivo. L’ambiente naturale è la fonte principale della stimolazione sensoriale e, quindi, la libertà di esplorare e giocare con esso attraverso i sensi è essenziale per lo sviluppo sano della vita interiore. Questo tipo di rapporto, nato spontaneamente e autonomo, viene chiamato “gioco libero”. I singoli bambini si mettono alla prova interagendo con l’ambiente, attivando il loro potenziale e ricostruendo la cultura umana. Il contenuto dell’ambiente è un fattore cruciale in questo processo. Un ambiente ricco e aperto fornirà sempre delle valide alternative alla creatività, mentre uno chiuso e privo di attrattive limiterà la crescita e l o sviluppo del singolo individuo o del gruppo.


Fonte: L’importanza del CONTATTO con la natura per lo SVILUPPO COGNITIVO e RELAZIONALE del bambino Dott. Federico Cipparone Formatore, Psicologo dello Sviluppo e dell’Educazione Esperto in Outdoor Education & Training

 

PERCHÉ MIO FIGLIO BUTTA TUTTO PER TERRA?

I bambini vivono una fase in cui non fanno altro che tirare tutto, quasi fosse una sfida. Vi interessa sapere perché vostro figlio getta tutto a terra?

 

Di sicuro vi avrà sorpreso diverse volte con questa sua abilità da giocatore di baseball, lanciando tutto quello che trova a portata di mano. Magari all’inizio vi sembrava un atto di ribellione o un gesto per attirare la vostra attenzione, poi vi siete rese conto che succede quotidianamente.

Con irritazione, con un’espressione stupita o ridendo gli chiedete di smetterla perché potrebbe rompere qualcosa di importante o far del male a qualcuno.

Abbiamo una buona notizia per voi: questa capacità non è altro che una delle prime esercitazioni del bambino per esplorare il mondo.

Quando tirate un oggetto dovete calibrare la forza con cui tirare, la distanza, dovete avere un obiettivo fisso, mettervi in una determinata posizione, stare attenti a quello che vi circonda ecc. Ecco cosa sta cercando di imparare il vostro piccolo ogni volta che si dà la spinta per lanciare qualcosa.

Se lo ha fatto mille volte, preparatevi, perché di sicuro lo farà altre mille volte. Siatene felici e grate, perché questo segnale di sviluppo e di crescita va a sommarsi alla lista di abilità di cui si serve il piccolo per affrontare le sfide della vita. Quando vostro figlio getta tutto a terra, guidatelo e insegnategli a fare attenzione, a riconoscere i pericoli e i materiali fragili.


Vostro figlio getta tutto a terra: è il suo modo di apprendere

Abbiamo imparato dunque che il corpo dell’amore della vostra vita, tirando tutto a terra, si allena semplicemente a essere più forte e agile. È arrivato il momento di guidarlo in questo lavoro che, data la sua giovane età, è un’odissea piena di sfide e conquiste da supereroe.

Perciò, prima di farvi assorbire da questo compito, è fondamentale che conosciate nei dettagli tutto quello che impara quel piccolo monello con la sua impressionante forza.


Scopre cosa succede all’oggetto.

Si rompe, emette dei suoni particolari o rimane fermo nello stesso punto? Un dubbio, il suo, che risveglia mille interrogativi verificabili solo con la pratica. Cioè, tirare l’oggetto tante volte quanto è necessario per verificare quale sia la risposta ai dubbi.


Prende le distanze

Anche se non ci crederete, quando vostro figlio getta tutto a terra, utilizza due dei cinque sensi: la vista e l’udito. Nel primo caso analizza la traiettoria dell’oggetto in questione: vede come variano le sue dimensioni man mano che si allontana, fino a diventare piccolissimo. Quanto al secondo, se l’oggetto impiega tanto tempo a cadere vuol dire che è arrivato lontano e viceversa.


Mette alla prova le sue capacità

Vale la pena continuare a tirare questo oggetto? Devo proseguire l’esplorazione? Ho capito che cosa succede se lo lancio con forza? Quest’altro si comporterà in maniera diversa?


Conosce la relazione causa-effetto

Dopo aver deciso di lanciarlo, scopre qual’è la conseguenza. La rottura del vetro e la reazione di paura di mamma e papà, un rumore forte che infastidisce gli altri o richiama l’attenzione dei genitori.


Interazione sociale

Capirà che l’oggetto può risvegliare l’interesse delle persone che lo circondano fino a spingerle a giocare con lui. E quindi lo userà per creare istanti magici da condividere e si renderà conto di avere la capacità di instaurare un legame. In futuro questo sarà fondamentale per il suo sviluppo personale e lavorativo.

In definitiva, il nostro piccolo scienziato risponde ai suoi bisogni di esplorazione e verifica del mondo con rapidità e astuzia.


Cosa possiamo fare per migliorare questa esperienza?

A meno che lanci qualcosa di fragile o che possa fare male a qualcuno, non sgridatelo. Piuttosto, insegnategli quello che può lanciare e dove. Ovviamente, non lasciate che sia violento nei lanci e dopo che ha lanciato qualcosa invitatelo a raccoglierla insieme a voi, in modo da abituarlo a essere ordinato.
Siate un esempio insegnandogli ciò che è permesso e ciò che non lo è, come lanciare le calze sporche nella cesta o i fogli di carta usati nel cestino. Poco alla volta capirà che cosa è giusto e ne trarrà vantaggio.

Autore ignoto, scritto su “Amore di mamma”

 

 

SAPER ASCOLTARE I PROPRI FIGLI È FONDAMENTALE. ECCO COSA EVITARE

“Essere genitori è il lavoro più difficile del mondo“, quante volte l’abbiamo sentita dire questa frase, eppure quando siamo diventati genitori, abbiamo fatto di tutto per evitare gli errori dei nostri genitori, credendo così di instaurare con nostro figlio, o nostra figlia, un rapporto di rispetto, stima e fiducia reciproci tali da incoraggiare il dialogo.

 

Eppure sono arrivati gli scontri, le insoddisfazioni, le delusioni, le chiusure. Nonostante tutti gli sforzi ci siamo ritrovati e ci ritroviamo a non capire dove sbagliamo. Cerchiamo di immedesimarci, di comprenderli, ma le cose non vanno sempre come ci aspettiamo.

In che cosa sbagliamo? Cosa avremmo potuto fare e cosa possiamo fare per migliorare la comunicazione con i nostri figli?

Beh innanzitutto occorre fare un passo indietro e capire se riusciamo veramente ad ascoltarli. Lo sa bene il dottor James J. Jones, sposato e padre di 4 bambini che si sono sempre distinti a scuola, nello sport e nella musica.

Era convinto di essere un ottimo genitore, poi però l’ultimo dei suoi figli ha avuto problemi di droga e il mondo gli è crollato addosso. Nel periodo in cui si è ritrovato a combatteva tra polizia, carcere, programmi di recupero e psicologi, si è chiesto in che cosa lui e la moglie avessero sbagliato.

Dopo centinaia di ore di consulenza individuale, familiare e di gruppo, ha scoperto di sapere ben poco sull’educazione in famiglia e che nonostante tutto aveva fatto degli errori. Ha scoperto che la genitorialità è una vera e propria scienza così è ritornato sui libri e ha conseguito un dottorato in Counseling Psychology e un master in matrimonio, terapia familiare e infantile. Con le nuove conoscenze è riuscito ad aiutare suo figlio e ha sviluppato una serie di programmi per aiutare gli altri genitori.

Nel suo libro Let’s fix the kids il dott. Jones parla dell’importanza del vero ascolto, visto non come possibilità di dare consigli, suggerimenti o risolvere problemi, ma come la capacità di prestare attenzione a ciò che nostro figlio ci dice.

Capita spesso che i genitori rispondano ai propri figli adolescenti con commenti che in realtà sono giudizi, consigli, frasi che magari manifestano il proprio disappunto. Questo tipo di risposte chiude o interrompe la conversazione impedendo un ulteriore dialogo. Le risposte chiuse non prendono in considerazione ciò che pensano i figli e li portano a mettersi sulla difensiva.

Una comunicazione efficace con un adolescente, magari ribelle, non può basarsi su questo tipo di risposte. Bisogna ricorrere ad un metodo più produttivo basato sulle risposte aperte, quelle cioè che semplicemente accettano ciò che viene detto, riflettendo sia il contenuto che i sentimenti che il proprio figlio intende proiettare sul genitore. Nel suo libro il dott. Jones, fornisce vari esempi sui vari tipi di risposte. Vediamone alcune.

Adolescente: “Il mio insegnante di scienze mi ha messo “C” al progetto di scienze. Non ci posso credere!”

Genitore 1: “Ti avevo detto di rivederlo, giusto? Non ascolti mai!”

Genitore 2: “Non lamentarti, te lo sei meritato!”

Genitore 3: “Gli insegnanti non sono ingiusti. Che cosa hai sbagliato stavolta?”


Queste risposte sono “chiuse” perché chiudono la comunicazione. Di fronte a queste risposte l’adolescente si sente screditato, incompreso, ingiustamente giudicato.

Con delle risposte aperte, invece, il dialogo continuerebbe, l’adolescente si sentirebbe capito, condividerebbe le sue emozioni, spiegherebbe i motivi della sua delusione e si calmerebbe. Proviamo a vedere come risponderebbe a delle risposte aperte.

Adolescente: “Non riesco a credere che il prof. mi abbia messo “C” al progetto di scienze dopo che ho buttato settimane dietro a quelle stupidaggini.”

Genitore: “Mi sembra che tu sia molto deluso (sentimenti) per aver preso “C” dopo aver lavorato così tanto.” (soddisfare)

Adolescente: “Oltretutto, ha dato a Luca “A” perché ha fatto il progetto che gli aveva suggerito lui.“

Genitore: “Ho capito bene? Sei arrabbiato (sentimenti) perché il prof. è ingiusto.” (soddisfare).

Adolescente: “Faresti bene a crederci! Comunque ho imparato molto dal progetto; è stato davvero difficile!“

Genitore: “Quindi, nonostante il voto (sentimenti) deludente, sei contento (sentimenti) di essere rimasto fedele al tuo progetto più difficile?” (soddisfare)

Adolescente: “Eh sì, immagino di si, ma pensavo di prendere di sicuro “A”. Ehi.. ma cosa c’è da mangiare? “

Se tuo figlio è in difficoltà, è arrabbiato, demotivato o deluso e ti chiede di ascoltarlo, fai attenzione a come rispondi:

Non dare consigli, non faresti quello che ti ha chiesto.

Non dirgli che non dovrebbe sentirsi come si sente, calpesteresti i suoi sentimenti.

Non sentirti in dovere di fare qualcosa per risolvere il suo problema, lo deluderesti perché lo faresti sentire incapace di risolvere da solo la situazione.


Se tuo figlio è in difficoltà e ti chiede di ascoltarlo ricorda che:

Non ti chiede di parlare o fare, ma solo ascoltare.

Non è indifeso. Forse scoraggiato e frustrato sì, ma impotente no.

Se fai qualcosa che può fare da solo, contribuisci alla sua paura e debolezza.

Se accetti come dato di fatto che prova delle emozioni, non importa quanto irrazionali possano essere, allora capisci che devi smettere di provare a convincerlo che non deve sentirle.

Quando tuo figlio ti chiede di ascoltarlo tu ascoltalo e basta. Se vuoi parlare, aspetta un minuto, segui i consigli e ti ascolterà.

Autore ignoto, scritto su “Apri la Mente Staff”

 
 

INTERROMPERE IL CAPRICCIO DI UN BAMBINO CON UNA SOLA DOMANDA

Gestire i figli, soprattutto quando sono piccoli, si rivela in alcuni periodi molto complicato.

 

Avete presente quella fase in cui qualsiasi occasione è buona per iniziare un capriccio? I genitori sono messi a dura prova quando si presenta la necessità di dover far ragionare un bambino proprio nel momento in cui tutto appare così irrazionale.

La soluzione alla fase “capriccio facile” non è il rimprovero, la punizione o l’indifferenza, che al contrario portano il bambino ad amplificare la propria rabbia. Sebbene sembri ingestibile, un modo per superare questo comportamento c’è e lo conosciamo attraverso l’esperienza di una mamma che, con una sola domanda, ha capito come riportare i figli capricciosi in uno stato di calma.

La domanda per far tornare tutto alla calma.

Questa mamma ricorda bene quel periodo in cui la figlia instaurava un capriccio quasi per tutto e ad ogni momento. Nel suo caso, questo comportamento è nato subito dopo l’iscrizione alla scuola, ma non c’è un periodo preciso in cui il bambino può svilupparlo.
A darle una mano è stata la psicologa dell’Istituto, che le ha consigliato di provare a riportare la figlia ad uno stato di calma attraverso una semplice domanda. Il segreto è mettere il bambino in condizioni di analizzare il proprio comportamento e comprenderne l’insignificanza.

La domanda che dovrebbe essere posta ai bambini, che per qualche motivo hanno iniziato a fare i capricci troppo spesso, è: “È un problema grande, medio o piccolo?”. Sebbene molto piccoli i bambini hanno la capacità di distinguere la gravità di un problema, pertanto capaci di dare una risposta.
Il metodo non finisce qui: bisogna prendere seriamente la risposta del bambino, qualunque essa sia. Bisogna fargli capire che i problemi grandi sono quelli che NON hanno soluzione, quelli medi richiedono una riflessione più attenta e quelli piccoli sono di immediata risoluzione. Sarà lui stesso a capirne l’entità in base alla possibilità o meno di trovare una soluzione.

Lasciategli il tempo di trovare da solo il modo più opportuno di agire, non mettendogli fretta o anticipando le sue parole. È un cammino che all’inizio sarà tortuoso, ma che il bambino riuscirà a far proprio in poco tempo.
La mamma racconta di aver sperimentato immediatamente i benefici di questo approccio: un giorno la figlia ha iniziato a piangere in modo isterico per non aver nell’armadio il paio di pantaloni preferito, che erano ancora stesi ad asciugare. Dopo aver iniziato a piangere la madre le ha chiesto: “Alice, questo è un problema grande, medio o di piccole dimensioni?”.
Quando la bambina le ha risposto che dopo tutto si stava arrabbiando per nulla, le ha chiesto quale fosse allora la soluzione più giusta da seguire: senza esitazioni lei le ha detto che avrebbe potuto prendere un altro paio di pantaloni, e che avrebbe indossato quello preferito il giorno dopo.
La reazione dei genitori a questo tipo di comportamento è troppo spesso quella più sbagliata: rabbia nei confronti dei bambini, punizioni insensate oppure indifferenza. Niente di tutto questo porta benefici, ed anzi innesca meccanismi di ribellione e protagonismo nei bambini.

Autore ignoto, scritto su “Amore di mamma”

 

PER EDUCARE UN BAMBINO BISOGNA PRIMA EDUCARE SÈ STESSI

Per educare un bambino bisogna prima educare sè stessi e questo lo dicono in tutte le pedagogie del mondo

 

“L’adulto non ha compreso il bambino e l’adolescente e perciò è in continua lotta con lui: il rimedio non è che l’adulto impari qualcosa intellettualmente o che integri una cultura manchevole. No: è diversa la base da cui bisogna partire. Occorre che l’adulto trovi in sè l’errore ancora ignoto che gli impedisce di vedere il bambino”
Maria Montessori ne “il segreto dell’infanzia”

“Molto spesso noi non riusciamo a comportarci nei confronti dei nostri figli nel modo che vorremmo perché ci identifichiamo in loro, rivivendo nel loro dolore e nella loro sofferenza la nostra di quand’è eravamo piccini: il loro pianto che non riusciamo a reggere o la loro rabbia che non riusciamo a sopportare è in realtà la nostra… Così reagiamo comportandoci come i nostri genitori si comportarono con noi (perché è ciò che abbiamo inconsciamente assorbito e imparato) oppure facendo esattamente l’opposto, a costo di cadere nell’esagerazione contraria “
Elena Balsamo, “Libertà e amore”

Molte volte purtroppo assistiamo a scene di disprezzo dell’adulto nei confronti del bambino. Anche al supermercato mi capita di incappare in madri o padri che dicono al bambino di 1 anno e mezzo: “possibile che non riesci a stare fermo? Non toccare tutte le cose, le fai cadere. Non capisci che non puoi toccare tutto? Attento che rompi qualcosa. Non puoi prenderlo, non riuscirai a portarlo”. Queste parole sembrano solamente rimproveri agli occhi dei più che, cresciuti in un’epoca in cui l’attenzione verso la psiche del bambino era pari a zero, non comprendono come in realtà minano l’autostima del bambino. Lo portano a pensare di essere un incapace, un essere inferiore, non degno di fiducia.

“Se un bambino non si sente apprezzato, stimato, ascoltato, se viene continuamente criticato e rimproverato (combini solo guai; sei un buono a nulla), può prendere strade diverse: o si scoraggia e interrompe il dialogo (tanto nessuno mi crede, nessuno mi capisce) e si rifugia nell’immaginazione o ancor peggio approda al mondo delle dipendenze (alcol, droga ecc..); oppure si ribella e se ne va di casa o, al contrario, diventa un lavoratore accanito per provare a se stesso e agli altri che è degno di stima, che ha il diritto di esistere. In ogni caso porterà con sè un bagaglio di cui sarà difficile disfarsi: il dubbio sulle proprie capacità (ce la farò da solo?) che paralizza l’azione, rende problematiche le decisioni, in una parola rovina la vita”.
Elena Balsamo, “Libertà e amore”

Ecco! Questo è fondamentale comprendere! Ciò che ci è stato detto da piccoli era profondamente ingiusto. Ciò che diciamo ai nostri bambini quando non riescono in qualche attività, può essere una conferma delle loro capacità (“riprova e vedrai che ci riuscirai!”) oppure la distruzione della loro autostima (“cosa ci provi a fare che tanto non ci riesci? Lascia fare a me!”). Siamo noi che dobbiamo scegliere quale via seguire.

“Se per esempio un adulto vede il bambino che muove un bicchiere di vetro e pensa e teme che quel bicchiere possa essere rotto: in quel momento l’avarizia lo porta a giudicare quel bicchiere un tesoro, e per conservarlo impedirà al bambino di muoversi. In quel momento sorge in lui la tendenza tirannica, autoritaria, che si disperde nella semplice difesa di un oggetto senza valore. Difatti se un servitore facesse quel movimento il padre sorriderebbe, e se venisse un ospite che rompesse il bicchiere, il padre si affretterebbe a fargli rilevare che il bicchiere non aveva nessun valore. Il bambino perciò deve percepire con una continuità disperante che egli è l’unico ritenuto pericoloso verso gli oggetti e perciò l’unico ritenuto incapace di toccarli, che è un inferiore, che egli quasi vale meno delle cose.

Il bambino non soltanto ha bisogno di toccare le cose e di lavorare con esse, ma di seguire la successione degli atti: ciò ha una importanza grandissima sulla costruzione interiore della personalità.

Quando l’adulto si alza la mattina, sa che deve fare questo e quello e lo fa come la cosa più semplice della vita. La successione degli atti è quasi automatica e non si avverte più. Il bambino invece ha bisogno di costruirsi questo fondamento. Ma non può mai farsi un piano d’azione da seguire; se sta giocando, viene l’adulto che pensa sia ora di andare a passeggio, lo veste e lo porta via: oppure mentre il bambino sta compiendo un piccolo lavoro arriva un’amica della mamma, e la mamma va a prendere il bambino, togliendolo dal suo lavoro per mostrarlo alla nuova venuta. Nell’ambiente del bambino interviene sempre questo essere poderoso che dispone della sua vita senza mai consultarlo, senza considerarlo, dimostrando che le azioni del bambino non hanno alcun valore; mentre in presenza del bambino l’adulto quando si rivolge ad un altro adulto, sia pure un servo, non lo interrompe senza dire:” fate il piacere” ; ovvero : “se potete”. Il bambino sente dunque di essere inferiore.

L’adulto non si contenta di impedire al bambino le sue azioni, ma gli dice:” tu non puoi far questo, è inutile che ti provi” o se non si tratta di persone raffinate dirà:” stupido, perché vuoi far questo, non vedi che non sei capace?”. E questo vale un’offesa contro il lavoro o contro la successione delle azioni, non solo, ma contro la personalità stessa del bambino. Questo procedere radica nell’anima del bambino la persuasione che non solo le sue azioni non hanno alcun valore, ma che proprio la sua personalità è inetta e non può agire”.
Maria Montessori ne “Il segreto dell’infanzia”.

L’insulto è quanto di più sbagliato si possa dire ad un bambino poiché egli non si focalizzerà sull’ “insegnamento” che volete impartirgli, ma sulla parola utilizzata per definirlo e questo avrà due effetti:

la sua autostima e la fiducia verranno martellati e distrutti
non otterrete il vostro scopo che era quello di fermare un comportamento (a vostro avviso) sbagliato.
Questo dunque dovrebbe far riflettere sul fatto che oltre che dannoso è anche inutile.

Minare la stima di sè in un bambino vuol dire crescere un bambino infelice e aver poi un adulto davvero incapace, insicuro, dipendente.

“Rispetto, fiducia, libertà e amore: queste sono le fondamenta di una casa sicura, di una dimora confortevole da cui si può partire per avventurarsi nel mondo”.
Elena Balsamo, “Libertà e amore”.

Vivere Montessori vi augura importanti riflessioni sui termini usati quotidianamente per e con i Vostri bambini, fiduciosa che chi legge si pone in ascolto! Buon Lavoro!

Manuela Griso, Educatrice (tratto da “eticamente”)

COMPORTAMENTI CHE DANNEGGIANO IL LEGAME EMOTIVO CON I FIGLI

La maggior parte di noi diventa genitore senza conoscere bene le fasi dello sviluppo di un bambino e ci affidiamo al nostro istinto o all’esperienza dalla nostra infanzia.

 

Molto spesso, però, il nostro istinto in realtà è solo una reazione emotiva che non è stata ben ponderata; a volte la nostra infanzia può essere stata negativa o persino violenta.

Molto spesso durante la giornata un genitore vuole che i propri figli facciano subito alcune cose: mettiti subito le scarpe, sali subito sul marciapiede, entra subito in casa, smettila subito di fare rumore. Se i bambini non ubbidiscono, il nostro livello di stress aumenta rapidamente.

Essere un buon genitore non è solo proibire, ma soprattutto rafforzare il vincolo emotivo, facendo capire loro che siamo al loro fianco in ogni momento e che li aiuteremo a maturare e a diventare persone felici e complete.

Perchè determinati comportamenti indeboliscono il legame emotivo con i figli?

Per comprendere quanto sia importante capire le conseguenze che un nostro comportamento può provocare, immaginate la seguente situazione: è una tipica mattina. Vostro figlio/a si sta preparando per andare a scuola e si sta facendo tardi.
Prima di tutto pensate a cosa volete che faccia subito vostro figlio/a. Probabilmente penserete a obiettivi quali: vestirsi, fare colazione, lavarsi i denti, preparare lo zaino per andare a scuola.

Questi sono i vostri obiettivi a breve termine. Vostro figlio/a si sta gingillando e notate che si sta facendo sempre più tardi. Dite a vostro figlio/a di fare presto, ma lui/lei non si sbriga.
Ora riflettete su quello che state provando. Cosa sta succedendo al vostro corpo, all’espressione del viso, alla voce? I muscoli si irrigidiscono, aumenta il battito cardiaco, assumete un’espressione seria e alzate la voce. E poi che emozioni provate? Probabilmente il livello di frustrazione sta aumentando velocemente e provate un senso di panico e di rabbia.

Ripetete a vostro figlio/a di fare presto, ma sembra che lui/lei ora si muova ancora più lentamente. Parlate con un tono di voce arrabbiato e vi muovete per casa agitandovi e dicendogli/le che se continua così arriverete tardi al lavoro.
Cosa state pensando in questa situazione? Forse state pensando: “lo so che è in grado di fare presto. Lo sta facendo apposta per farmi fare tardi” o forse pensate: “Perché non mi ascolta mai? devo assolutamente FARLO ascoltare” o forse pensate: “Come si permette, adesso gli faccio vedere io chi comanda”.
E poi che cosa fate? Molti genitori in una situazione del genere cominciano ad urlare. Dicono cose come: “Se non sei pronto in due minuti ti lascio qui” o “Perché fai sempre così?” o “È possibile che non impari mai?”

A volte minacciano di punire il bambino, dandogli una sculacciata o togliendogli un gioco. A volte minacciano di portarlo a scuola anche se non ha finito di vestirsi. Alcuni genitori afferrano il bambino, lo scuotono, lo picchiano, lo insultano con parole come “stupido”.
Ora, cosa succede al bambino in una situazione del genere? Di solito quando il nostro cervello emotivo prende il sopravvento non ci rendiamo più conto di quali sono gli effetti delle nostre azioni sui nostri figli.

Se riuscissimo a tornare indietro vedremmo che anche il bambino è sempre più agitato e spaventato dalla nostra rabbia e dalle nostre minacce. I bambini inoltre possono sentirsi profondamente feriti e mortificati dai nostri insulti.
Quando li puniamo possono sentirsi non amati o non desiderati. Tutte queste reazioni inibiscono il cervello razionale e quindi a questo punto il bambino reagisce con il suo cervello emotivo: si mette a piangere, sbatte i piedi per terra, oppure urla. Vostro figlio si sente proprio come voi, e due persone in uno stato di panico non sono in grado di risolvere un problema in modo costruttivo.
Una situazione del genere probabilmente si concluderà in questo modo: voi, molto arrabbiati, accompagnate il bambino a scuola e al momento di salutarvi non gli fate un sorriso né gli date un abbraccio. Una volta arrivati al lavoro il vostro cervello razionale riprende il controllo e cominciate a sentirvi in colpa per quello che avete detto e fatto.

Vostro figlio a sua volta avrà difficoltà a seguire la lezione, si sentirà non amato, rifiutato e abbandonato. L’insegnante a quel punto potrebbe provare a sua volta un sentimento di frustrazione nei confronti del bambino che non lo ascolta.
Il bambino, proprio pochi minuti prima di cominciare ad affrontare una prova scritta, potrebbe ripensare al fatto che gli avete dato dello “stupido”. Oppure proverà sentimenti di rancore e se la prenderà con i compagni più piccoli.
Anche voi a questo punto avete difficoltà a concentrarvi sul lavoro perché vi sentite in colpa, vi vergognate del vostro comportamento e siete preoccupati per vostro figlio. Quindi il vostro obiettivo a breve termine è probabilmente stato raggiunto: siete arrivati al lavoro puntuali, ma sia il rapporto con vostro figlio che la sua autostima sono stati danneggiati.

In sintesi, assumere determinati comportamenti rigidi e severi, non serve a insegnare importanti lezioni ai propri figli, anzi tutt’altro. Vediamo in particolar modo quali sono i comportamenti che indeboliscono il legame emotivo tra genitori e figli.

Comportamenti che danneggiano il legame emotivo con i figli

L’assenza di ascolto
I bambini parlano molto e, soprattutto, fanno domande. Vi tormentano con mille dubbi, mille perché, mille commenti nei momenti meno opportuni. Vogliono sapere, sperimentare, comprendere e condividere con voi tutto ciò che accade intorno a loro.
Sappiate che se li zittite, se li obbligate a stare in silenzio o non date peso alle loro parole, rispondendo a monosillabi o sgridandoli, in breve tempo smetteranno di rivolgersi a voi. E inizieranno così a preferire degli spazi di solitudine, nascondendosi dietro una porta chiusa che non vorranno lasciarvi oltrepassare.

Le punizioni
Sono molti i genitori che confondono l’educazione con la punizione, la proibizione, un autoritarismo severo e rigido in cui c’è spazio solo per i comandi e in cui ogni errore viene castigato. Questo tipo di metodo educativo causa soltanto una mancanza di autostima nel bambino, che svilupperà una grande insicurezza e, allo stesso tempo, romperà il vincolo emotivo con voi.
Se castighiamo, non stiamo insegnando. Se ci limitiamo a far notare al bambino tutto ciò che fa male, non saprà mai come farlo bene. Non gli stiamo dando mezzi né strategie, ma lo stiamo semplicemente umiliando. E tutto ciò genererà in lui rabbia, rancore e insicurezza. Quindi evitatelo, sempre.

Paragoni ed etichette
Poche cose possono arrivare a essere più frustranti dei paragoni tra un fratello e l’altro, o tra un bambino e un suo compagno di classe, per fargli notare i suoi errori, la sua mancanza di iniziativa, le qualità che non ha. A volte, un errore commesso da molti genitori è quello di parlare dei figli ad alta voce tra di loro, come se loro non potessero ascoltarli.
“Che cosa ci vuoi fare, mio figlio non è sveglio come il tuo, è lento, ci mette una vita…”. Commenti di questo genere sono dolorosi e generano un sentimento negativo che non solo svilupperà dell’odio verso i genitori, ma anche un sentimento interiore di inferiorità.

Urlare invece di argomentare
Non stiamo parlando di maltrattamenti fisici, perché diamo per scontato che sappiate bene che non c’è modo peggiore per rompere il vincolo emotivo con un bambino di questo gesto imperdonabile.
Ma dobbiamo essere coscienti che esistono anche altri modi di maltrattare un bambino, altrettanto distruttivi, come quello psicologico. Quest’ultimo, infatti, si ripercuote direttamente sulla personalità del bambino, la sua concezione di sé e la sicurezza in se stesso.
Ci sono genitori che non sembrano conoscere altri modi di rivolgersi ai propri figli, se non gli urli. Alzare la voce senza un vero motivo provoca nel bambino uno stato di eccitazione e stress continuo.
Il bambino non saprà quale rimprovero conta davvero e quale no, non capirà quando sta facendo una cosa giusta e quando sbagliata. I contini urli innervosiscono e fanno male, perché non permettono il dialogo, solo gli ordini e i rimproveri.
Se guardiamo il mondo con gli occhi di un bambino di 1 anno, 5 anni, o 13 anni allora possiamo meglio comprendere il loro comportamento, poiché è dettato dalla loro visione del mondo in quella particolare fase del loro sviluppo.

Dr.ssa Ana Maria Sepe – Psicologa e psicoterapeuta (tratto da “Psicoadvisor”)

IL SEGRETO È LA PASSIONE

Ti proponiamo questo breve testo attribuito al pediatra Donald Winnicott. Non siamo certi dell’attribuzione, ma il concetto è significativo: in educazione non basta “fare qualcosa”, quel che conta è farlo con gioia, amore e passione.

 

“Il bambino non vuole che gli si diano da mangiare le cose giuste al momento giusto, ma vuole essere nutrito da una persona felice di nutrire il suo bambino.
Il bambino accetta come cose naturali che i suoi pannolini siano morbidi e che l’acqua del bagno sia alla giusta temperatura. Quello che non può dare per scontato è che la madre provi piacere a vestirlo e fargli il bagnetto.
Se voi siete felici di fare queste cose, anche il bambino sarà felice; per lui sarà come quando splende il sole. Se la madre non prova piacere nel fare queste cose, l’intero processo diventa privo di vita, inutile e meccanico.

In altre parole, quando il rapporto tra madre e figlio è cominciato e si sviluppa in modo naturale, non c’è nessun bisogno di ricorrere a tecniche speciali per nutrire il bambino, di pesarlo e di sottoporlo ad ogni genere di esami, la madre e il bambino sanno che cosa è giusto fare molto meglio di qualunque osservatore esterno.

In questa situazione un bambino succhierà la giusta quantità di latte alla giusta velocità e saprà quando fermarsi. In questo caso il processo di digestione e di secrezione non ha bisogno di essere osservato da estranei. Tutte le funzioni fisiologiche si svolgono normalmente perché la relazione affettiva si sviluppa normalmente.
Dirò di più: in queste circostanze una madre può imparare da suo figlio molte cose sui bambini, così come il bambino impara molte cose da sua madre”.

Presumibilmente Donald Winnicott
https://portalebambini.it/il-segreto-e-la-passione

QUANDO ERAVAMO PICCOLI ABBIAMO ASSORBITO COME UNA SPUGNA I COMPORTAMENTI DEI NOSTRI CARI

Affrontare le diverse situazioni che la vita ci pone davanti, richiede padronanza nella gestione delle emozioni affinchè non ci prendano alla sprovvista e non ci facciano perdere il controllo. Ansia, bassa autostima, sensi colpa, insicurezza, rabbia incontrollata… sono tutti esempi di difficoltà nella gestione delle emozioni.

 

Non possiamo imparare a scrivere correttamente se non ci viene prima insegnato.

Certo, la matematica e la grammatica, per esempio, non sono materie che il bambino può imparare spontaneamente; vi è ovviamente l’insegnamento di un adulto a fronte di tutto ciò. Ma i bambini non apprendono solo le materie scolastiche.

Le emozioni che i bambini sperimentano non sono qualcosa che hanno imparato dai libri; i piccoli apprendono ogni emozione attraverso l’interazione quotidiana con le persone che li circondano.

Ricorda, i bambini assorbono come una spugna tutto ciò che proviene dalle persone importanti che hanno intorno; dai genitori, dai parenti, dagli amici, dai vicini…. Assorbono tutto quello che vivono: parole, atteggiamenti, comportamenti, espressioni.

I bambini, più che dalle parole, imparano dal modo di vivere e comportarsi degli adulti.

Se un genitore non riesce a controllare la rabbia, il bambino imparerà che la rabbia non si può controllare; se i genitori sono ansiosi, il bambino imparerà che il mondo è un posto pieno di pericoli, di cui bisogna aver paura.

Il nostro comportamento vale più di mille discorsi.

Non ha senso dire a tuo figlio che deve essere ordinato, se sei tu per prima a tenere la casa in disordine; non puoi pretendere di avere un figlio meno rabbioso, se tu per prima ti esprimi con il prossimo con una certa aggressività. Non puoi chiedere a tuo figlio di non essere triste per il nonno che non c’è più, se ti vede piangere.

Cosa stai insegnando a tuo figlio?

Magari tu soffri d’ansia, soffri di bassa autostima, hai paura delle malattie, non sopporti tuo marito (tua moglie); ti esprimi con toni impropri nei confronti delle persone, non curante che tuo figlio sia proprio lì accanto a te; la classica frase:” tanto è piccolo per capire”.

Niente di più sbagliato, come già ti ho spiegato, i bambini assorbono tutto come una spugna. Tuo figlio modella la sua personalità attraverso i tuoi comportamenti, i tuoi pensieri, le convinzioni tu ha hai sugli altri e sulla vita in generale. Se pensi che il padre non faccia mai niente di giusto; tuo figlio si convincerà che il padre è un buono a nulla.

Se esprimi ansia nelle situazioni che incontri lungo il tuo cammino, tuo figlio sperimenterà ansia, paura in tutte le circostanze che richiedono un minimo di stress: primo giorno a scuola, esami, colloquio di lavoro. Giusto per rendere il concetto: se il piccolo si dispera perchè non vuole andare a scuola, sappi che la sua non è una semplice ribellione, potrebbe essere ansia.

Se esprimi rabbia a una minima circostanza, per esempio con chi ti sorpassa, chi ti passa davanti alla fila, chi ti ha urtato l’auto, è molto probabile che tuo figlio a sua volta, reagirà con rabbia incontrollata di fronte a quelle che vede come ingiustizie.

In ogni circostanza, buona o cattiva che sia, stai dando una lezione a tuo figlio; se esterni emozioni negative, gli stai insegnando che la vita è brutta e fatta di ingiustizie, questo avviene perché un bambino amplifica tutto in maniera considerevole. Da adulto, se estroverso, esprimerà rabbia anche nelle minime cose o al minimo intoppo; se introverso, esprimerà impotenza, frustrazione e senso di non valere.

Oltre a insegnare al tuo piccolo a parlare e a camminare, insegnagli a prendersi cura delle sue emozioni.

Se hai bene in mente questo concetto e cioè che tuo figlio impara dall’adulto che ha davanti, di sicuro ti sforzerai di essere sempre più consapevole dei tuoi atteggiamenti.

Se tratti tuo figlio con rispetto fin da piccolo e gli insegni che gli altri meritano rispetto, se lo educhi con amore, se esprimi disappunto per certi suoi comportamenti sbagliati senza denigrarlo, se soddisfi i suoi bisogni emotivi, tuo figlio crescerà più sicuro, più assertivo e avranno meno probabilità di essere influenzato dal cattivo comportamento degli altri.

Pertanto, anche se è importante che ti preoccupi delle amicizie che frequenta, è anche essenziale che metti in pratica un stile genitoriale marcato da amore e rispetto. Ricorda la famosa frase di Pitagora: “Educate i bambini e non sarà necessario punire gli uomini.”

Le più belle lezioni che tu possa dare a tuo figlio.

In sintesi, se agirai con rispetto di fronte agli eventi, lui imparerà il senso del rispetto per gli altri e se stesso. Se sarai benevola nei confronti del prossimo, lui imparerà il senso del dono. Se ti sforzerai di vedere il bello della vita, lui amerà la vita. Se farai le cose con amore, lui imparerà ad amare …

Ana Maria Sepe
https://psicoadvisor.com/author/annamariasepe

I BAMBINI CATTIVI? NON ESISTONO PIÙ!

Anche raccontando una storia si può capire quali sono le reali motivazioni dei capricci, mettiamo da parte gli inutili moralismi e cerchiamo di comprendere i nostri bambini.

 

Spesso i capricci, le urla, egoismi e malumori portano ad una frettolosa quanto errata etichettatura del bambino come “cattivo” generando spesso una considerazione del fanciullo che se finisce nelle mani “sbagliate” dei suoi coetanei, amichetti, può rivelarsi un precedente che è difficile scrollarsi di dosso.

Spesso alcuni bambini “vengono messi in mezzo”, fungono da “capro espiatorio” nel gruppo affinché gli adulti possano additarli come i soggetti che i figli non dovrebbero mai imitare, come coloro che: “Vedi quel bambino come è cattivo” oppure “Come è maleducato. Ma i genitori non lo vedono?” spostando l’attenzione e dando un giudizio basandosi solo su ciò che è il comportamento del bambino in una determinata situazione, senza pensare a cosa possa esserci sotto.

Sono più di uno spesso i comportamenti di un bambino che risultano difficili da decifrare, a prima vista incomprensibili. Non è facile capire perché si rifiutino di rispettare le regole, sembrano insofferenti a qualunque limitazione e passino repentinamente dalla timidezza assoluta all’arroganza più eclatante. Allo stesso modo è difficile capire come mai alcuni bambini riescano, più di altri ad inserirsi facilmente in qualsiasi gruppo mentre altri rimangono sistematicamente ai margini dello stesso.

Risulta necessario, a questo proposito, cambiare prospettiva, porsi nel punto di vista del bambino, è proprio su questa “cecità” o incapacità dell’adulto che spesso gli educatori “cadono”, incorrendo in una serie di sviste che possono far diventare difficili anche le cose più elementari.

I consigli da dare agli adulti vanno quindi in questa direzione, cercando di capire che i malumori, i pianti e le impuntature spesso sono frutto di paure, ansie, gelosie. Solo attraverso una visione più approfondita, generale e “infantile” si può comprendere cosa si nasconde dietro le proteste apparentemente inspiegabili dei bambini, bambini che altrettanto spesso e con estrema facilità passano da una complicità estrema ad una rivalità assoluta con gli adulti, mostrando in alcuni casi addirittura rancore nei loro confronti. Bisogna tenere conto che essi non hanno quelle strutture mentali che gli adulti hanno costruito in anni ed anni di esperienza, pertanto è necessario ricordare che un bambino è una struttura di personalità “semplice” e come tale va considerata, fornendogli tutti quesgli strumenti che non ha per capirsi e farsi capire.

Pasquale Saviano – Psicologo/Psicoterapeuta